Spielberg choc: "Lincoln mi ha fatto scoprire papà"

Il regista confessa che girando il film sul padre degli americani (candidato a 12 Oscar) ha chiarito il rapporto con il vecchio Arnold: "Ho visto la luce e ho capito di amarlo"

Spielberg choc: "Lincoln mi ha fatto scoprire papà"

«Ho sempre voluto raccontare una storia su Lincoln. Vedevo una potente figura paterna, in quel modo d'essere completamente devoto al proprio ideale, alla sua visione del mondo», ha detto Steven Spielberg all'emittente televisiva Cbs, parlando di Lincoln (dal 25 nelle sale), il suo drammatico film in costume con perfetta ingegneria da Oscar (12 candidature) e trionfatore ai Golden Globe Awards. Ed é in quest'attrazione per il carisma del padre il nucleo centrale dell'atteso biopic sul presidente Abraham Lincoln, la terza persona storica sulla quale si scrive di più, dopo Shakespeare e Gesù Cristo. Intimo e maestoso, torreggiante ma non retorico, il 16esimo Presidente Usa, consegnato alla Storia con la Proclamazione dell'Emancipazione (1863) che aboliva la schiavitù, è cesellato da uno «Spielberg's touch» in stato di grazia. E c'è un perché, nella biografia dell'autore e produttore il cui nome evoca E.T., Indiana Jones, predatori e qualsiasi icona assembli il concetto di pop-corn con quello di eccellenza artistica. «Credo che la peggior cosa che mi sia capitata, negli ultimi anni, sia stato il mio volontario esilio da mio padre. E la cosa più grande, invece, è stata quando ho visto la luce e ho capito che avevo bisogno di amarlo, in un modo che anche lui potesse restituirmi amore», ha confessato il regista a 60 Minutes, chiarendo la sua interpretazione dell'«onesto Abe», assassinato nel 1865, al Ford's Theatre di Washington, dall'attore sudista John Wilkes Booth. «Lincoln era il padre d'una nazione, che aveva bisogno d'un riparo. In un certo senso, è il film che m'ha fatto riflettere sulla relazione positiva tra me e mio padre negli ultimi 25 anni», spiega Spielberg. Dopo essersi riconciliato con papà Arnold (95 anni), ingegnere informatico ex-alcolista che lasciò la madre di Spielberg, Leah (92), ferendo il 19enne Steven, è arrivato il momento di focalizzare la creatività riconciliata sul «Grande Emancipatore», affidandone l'interpretazione a Daniel-Day Lewis, attore in grado di sparire dentro il personaggio. «Il mio film è su un leader al lavoro, che deve assumere decisioni ponderate, buttando in faccia all'opposizione crescente le cose già fatte», sintetizza Spielberg. Arduo condensare in 150 minuti le 800 pagine del bestseller «Team of Rivals» della storica Doris Kearns Goodwin, sul quale si basa Lincoln, ma lo sceneggiatore Tony Kusher ha sfrondato lo script, evidenziando il lato umano di Abraham Africanus, caro a Obama, il primo presidente Usa afroamericano. «Lincoln ha avuto una vita interiore molto complicata e, al contempo, estremamente chiara. Gli piaceva parlare, argomentando ogni aspetto delle questioni. I nemici gli rimproveravano di non venire mai alla conclusione», narra il regista, che evita gli effetti speciali, illustra una sola scena di battaglia all'inizio del film e si concentra sugli ultimi anni di vita di Lincoln. «Il mio è un film sulla leadership. Ed è una lezione sull'importanza del dire la verità.

Lincoln viveva con due agende ed entrambe avevano a che fare con un'unica soluzione: abolire la schiavitù e far finire la guerra»,spiega Spielberg, che affida a Sally Field il ruolo di Molly Todd, moglie nevrastenica di Lincoln e a Tommy Lee Jones quello del radicale abolizionista Thaddeus Steven. Oltre l'Oscar e i 146 milioni di dollari al box-office americano, Spielberg con Lincoln deve raddrizzare certe distorsioni cinematografiche sul passato Usa, alla Via col vento.

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