La Tokyo di Patriarca, città ideale dell'irrealtà

Andrea Caterini

Chi è davvero il protagonista del nuovo romanzo di Fabrizio Patriarca, Tokyo transit (66THA2ND, pagg. 308, euro 18)? È Alberto Roi, «cintura nera d'adattamento», il puttaniere, l'italiano sornione che a Tokyo è finito come fosse il luogo che da sempre lo attendeva? O Thomas Asca, il cocainomane, il cinico, lo schizzato filosofo del nulla? Credo nessuno dei due; che il protagonista sia la voce che li narra; che i due personaggi non siano, della voce, che la sua schizofrenia. Se la mobile ed elettrica scrittura di Patriarca è la mente e insieme l'oggetto del racconto, per quale motivo dare voce a due personaggi e non a un io narrate? E soprattutto perché a Tokyo?

Seguendo il ragionamento, cioè seguendo questa scrittura tanto accesa da parerci in perenne stato d'eccitazione, Tokyo ci appare (nel senso di un'apparizione, ma che sa di rivelazione già avvenuta) come la città ideale. Non l'idealità rinascimentale ma la sua copia contemporanea. Tokyo, la città tutta neon ed erotismo e tecnologia, dove pure la tradizione sembra appena un residuo, uno sputo sull'asfalto, è l'immagine speculare della scrittura di Patriarca, così come speculari sono Alberto e Thomas non tanto per differente psicologia ma per l'opposto servizio che recano alla scrittura. Thomas e Alberto sono due possibilità (di vita, di realtà?), essendo solamente due copie del vero. Allo stesso modo dei due personaggi, anche Tokyo è irreale («la realtà si nega: tiene assieme le cose, fa questo. La realtà è solo un altro simbolo»). Allora, quelle due possibilità di vita, cosa sono se non Alberto colui che conserva il residuo della tradizione della città (e lo fa da straniero, da estraneo), col suo bagaglio di dolori taciuti, e Thomas che se non fosse a Tokyo sarebbe a Parigi o Los Angeles perché «gli unici posti al mondo dove hai Disneyland a portata di mano»? Cosa sono, i due, se non l'immagine stessa della città, una città costruita sull'estraneità al passato e sulla somiglianza con ciò che non può essere: una metropoli occidentale?

Eppure, in verità, e questo è ancora la scrittura di Patriarca a esprimerlo, quella

città orientale è più occidentale di qualsiasi metropoli d'Occidente, una fotocopia «più vera del vero», poiché testimonia che un originale c'è stato e valeva la pena darne testimonianza fosse pure con una copia in digitale.

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