Catania, Parma & C Il vero scandalo è che tutti sapevano

Palazzi e la giustizia sportiva sono impotenti e dipendono dalle intercettazioni delle Procure. Ma ora Tavecchio ha l'occasione di far pulizia

Catania, Parma & C Il vero scandalo è che tutti sapevano

E h, ma lo sapevamo già. È un classico della storia italiana, il paese è piccolo e la gente mormora, ma nessuno denuncia. Il caso Catania esplode sulla faccia di una città e di un sistema, come il fallimento del Parma e le voci di dentro e di fuori che circolano su altre squadre, altri presidenti in affanni contabili, investitori misteriosi, sponsor occulti, risultati strani e un giro di scommesse sempre più ampio, sempre meno controllato.

Il calcio è drogato, non soltanto di sostanze stupefacenti. È drogato di soldi facili, di guadagni illeciti, di astuzie finanziarie che coinvolgono dirigenti e giocatori, illudendo e tradendo il tifoso-spettatore ignaro e pagante ma, in alcuni casi, anche complice. Senza il supporto decisivo dei magistrati e delle forze dell'ordine il football non riesce a guarire da solo dal proprio male, la ricerca spasmodica del denaro a tutti i costi.

Senza l'intervento dell'Fbi anche Sepp Blatter e la sua orchestra continuerebbero a gestire il potere, senza le intercettazioni e i pedinamenti non ci sarebbero state calciopoli e tutte le altre storie recenti di partite combinate, di scommesse e malaffare.

La giustizia sportiva è passiva, non ha e non può utilizzare le stesse armi, non ha detective, non può mettere cimici negli spogliatoi, attende di ricevere notizie ufficiali prima di potersi muovere. La situazione è paradossale, Stefano Palazzi, procuratore della federcalcio, è davvero un uomo solo al comando, un magistrato con il pennacchio seduto dietro ad una scrivania vuota che, di colpo, si riempie di faldoni e prove schiaccianti, scaricati dagli inquirenti, dagli uomini della Digos, dei carabinieri, della polizia.

Il caso Catania era una zanzara che ronzava nelle orecchie di tanti, il folle campionato di serie B rischia ora una rivoluzione che porterà a tumulti di piazza, secondo abitudini. Il tracollo del Parma era una barzelletta nei peggiori bar del paese ma chi sapeva, calciatori compresi, ha preferito il silenzio. Antonino Pulvirenti, presidente del club siciliano, denunciando le pressioni dei tifosi, si era portato avanti con il lavoro, quasi costruendosi un alibi, così come aveva fatto Blatter chiedendo un rapporto al proprio ufficio indagini ma poi censurando le parti più compromettenti.

Siamo soltanto all'inizio di un'estate che sarà caldissima perché finora non risultano agli atti i cognomi dei calciatori sicuramente coinvolti, perché se esiste un corruttore debbono esistere dei corrotti e senza la partecipazione degli attori la commedia non può andare in scena. E qui affiora un altro aspetto, la diatesi criminale di molti calciatori e dirigenti, la loro tendenza al reato, al raggiro nel nome del tifo, della piazza, dell'importanza del calcio per la città e la sua storia. Ma il tempo delle mele è finito, sono proprio i tifosi, quelli veri (non i fiancheggiatori, compresi alcuni giornalisti) i primi a ribellarsi, traditi e stanchi di essere usati e truffati.

Il calcio italiano è alla svolta, Carlo Tavecchio ha una grande carta in mano, può passare alla storia come il presidente che, dopo aver pagato pure lui il conto con la giustizia, non farà sconti a nessuno, prescritti e non, potenti e privilegiati. In caso contrario sarà complice del fallimento.

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