Siamo messi male, anzi sono messe male le due di domenica a San Siro Meazza. Se i due grandi ex portano il cognome di Felipe Melo e di Hernanes allora vuole dire che il duello storico fra Inter e Juventus attraversa la decadenza che appartiene al resto del football italiano. Siamo a scrivere di due brasiliani di censo minore, scaricati il primo dalla Juventus e il secondo dall'Inter e, per l'appunto, presentati come i vendicatori del momento. Ma, al di là del censo dei due calciatori, roba ordinaria senza particolari eccitazioni per il popolo dei tifosi, anche se Felipe Melo sembra diventato la bandiera della riscossa nerazzurra (penso a Facchetti e a Suarez, a Picchi e a Mazzola...).
Inter e Juventus vivono la loro guerra fredda, passata da feroci attacchi con morti e feriti, dai favolosi anni Sessanta, quando quel famoso zero a zero di Torino, con invasione pacifica del terreno di gioco delle stadio Comunale, venne annullato dalla federazione che aveva come capo, guarda un po' le combinazioni, Umberto Agnelli, e si arrivò alla ripetizione della partita con un 9 a 1 storico ma anche fasullo perché Moratti Angelo e il mago Herrera decisero di far scendere in campo la squadra ragazzi, con Sandro Mazzola al debutto. Fu l'ultima presenza di Boniperti come calciatore e l'inizio di una sfida politica, di potere e di risultati tra i due club. Ciò nonostante Inter e Juventus si sono scambiati "favori" di mercato e così gli ex hanno potuto vivere l'ora del riscatto. Roberto Boninsegna su tutti che a trentatrè anni venne liquidato da Ftaizzoli in cambio di Anastasi (e 600 milioni!!!), andando vincere due scudetti, una coppa Italia e una coppa Uefa con la Juventus, dopo averne vinto uno con l'Inter.
La maglia è una cosa seria, almeno lo era a quei tempi quando nessuno si sognava di correre verso le curve e le gradinate baciando la divisa per assicurare la propria fede eterna. I casi sono cento, calciatori da autostrada li definiscono gli inglesi, giusti professionisti che vanno dove li porta il cuore che significa il portafoglio. Ibrahimovic e Vieira, appunto, se ne andarono dopo l'esplosione di Calciopoli e fu l'autogol della Juventus che li passò all'Inter là dove lo svedese e il francese ribadirono la loro cifra, non subito contro la stessa Juventus condannata alla serie B. Era successo con Liam Brady allontanato da Torino per fare posto a Michel Platini, l'irlandese andò prima alla Samp e poi all'Inter, nonostante i mugugni di Mazzola dirigente al quale non piaceva lo stile di gioco dell'ex Arsenal, Brady giocò con il piglio rabbioso contro la Juventus e contro Platini ma per i tifosi bianconeri ormai era roba del passato remoto, senza alcun rimpianto, secondo usi e costumi del popolo bue. Vieri è di sicuro l'uomo simbolo, in tutti i sensi, protagonista a Torino, a Roma, a Milano, indiscutibile ma discusso attaccante, il migliore che abbia avuto l'Italia nel dopoguerra insieme con Riva e Boninsegna ma scaricato per "indisciplina" dalla Juve all'Atletico di Madrid con un affare colossale. Quando arrivò all'Inter aveva conti in sospeso con i bianconeri e li confermò nella sfida diretta.
Tralascio Pirlo, Paulo Sousa, Serena, Dino Baggio ma sarebbe ingiusto dimenticare il caso più forte: Gianni Trapattoni, milanista di fede e di scuola ma poi juventino di trionfi e quindi interista glorioso per uno scudetto record a 58 puntiInformate Hernanes e Felipe Melo, asterischi in confronto alla storia.
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