Ora che è tutto finito davvero, restano solo i ricordi. Il boato, come quello che ieri sera a Londra lo ha accolto a fianco del suo nemico-amico Nadal, ore 22.03 di Londra, per quella che lui ha definito «the final». La stessa ovazione che ogni campo del mondo gli ha attribuito ad ogni apparizione in veste di Messia del tennis. Eppoi i trionfi, le magie, l'estasi, le lacrime, le sconfitte amare cancellate ogni volta da un ritorno considerato impossibile. Tranne l'ultimo, quello di una resurrezione irrealizzabile e troppo terrena.
Roger Federer ha concluso il suo cammino bandana in testa e con un sorriso, e il suo ultimo colpo questa volta è stato definitivo. Il più definitivo di tutti. È stato un misto di sentimenti, dopo giorni in cui la tristezza si è progressivamente stemperata, «perché ho consumato tutto in quella lettera che ho preparato per l'annuncio». Sentimenti che potevano però solo essere che un tumulto, dentro l'arena di Londra e nel torneo dedicato al suo mito Rod Laver, ma pure in tutto il mondo collegato alla Tv. Perché in fondo non è più una questione su chi sia il più grande di sempre: è che non c'è stato nulla di così intenso per un uomo con una racchetta in mano. Sembra quasi assurdo dirlo, è solo sport, è solo tennis. Eppure.
Roger Federer esce dai giochi, ma non dalla sua leggenda, stingendosi al petto Severino Luethi, l'amico-coach-capitano (di Davis) che ha accompagnato tutti questi anni la sua grandezza. In trionfo naturalmente, quasi divertito tra continui post e video su instagram, e dopo l'intervista all'Equipe in cui ha confessato confessando che sì, quel secondo match point contro Djokovic (ieri suggeritore in panchina) nella finale di Wimbledon 2019, è l'unico colpo che in 24 anni avrebbe voluto rigiocare. Un illusione, soltanto, com'è stata l'idea che Roger Federer fosse davvero immortale, invece che un uomo imperfetto come tutti. Infortunato e ormai invecchiato, «e la cosa più strana è stata Wimbledon l'anno scorso: avevo perso ed era chiaro che stavo male, ma nessuno mi ha chiesto nulla sul mio ginocchio. Io soffrivo e nessuno se ne accorgeva. Mi chiedevo come fosse possibile, se fossi davvero così bravo a nascondermi».
È successo anche questo, in questa storia straordinaria, forse perché nessuno vuole arrendersi all'inevitabile, all'impossibilità di rivivere momenti e meraviglie che dopo tante partite e tanti capelli in meno (nostri e anche suoi) è certo adesso che svaniranno nel tempo: «Eppure dovete capire che io non vedo l'ora di vivere la mia nuova vita». Già, la vita, che scorre inesorabile e ci sono eventi che ce lo ricordano con un pugno nello stomaco.
Eppure alla fine la vera grandezza è andare avanti con un sorriso: lo ha fatto ieri sera, Roger, abbracciando tutti ed entrando in campo per l'ultimo colpo (il primo del match, per la cronaca, è stato una volée). Per l'ultima festa, l'ultimo capitolo straordinario. Poi, per il tennis, è arrivata la notte.
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