Milano«Non è finita» gridano a San Siro. Ed è proprio così. Non è finita, ancora. La Juve è ancora davanti, ma a un solo punticino. E ora la pressione si trasferisce tutta sulle spalle di Pirlo e soci. Questa volta è vero, è tutto vero. È vero che il Lecce pareggia a Torino e che la storia dello scudetto è ancora tutta da scrivere. San Siro s'infiamma come accadde con il Genoa ma allora si trattò di una leggenda metropolitana trasformata in una beffa clamorosa per il popolo dei milanisti. Questa volta è il tabellone a dare credito al sussulto dello stadio e a trasferire sul prato la notizia proprio mentre Ibrahimovic, lanciato al gol, tutto solo davanti a Consigli, sbava un gol facilissimo da trasferire sul tabellino. In quei minuti finali che non passano mai il Milan colleziona altre succose occasioni (traversa di Robinho, gol annullato a Ibra per palese fuorigioco) prima di firmare il 2 a 0 con Robinho e di ritrovarsi improvvisamente a meno uno dal rivale bianconero e dare vita a dieci giorni memorabili. Il duello continua, lo scudetto torna in bilico, ci aspetta un campionato strepitoso, con un finale degno del miglior thriller di Agatha Christie.
La scena madre succede a Torino e San Siro, il Milan, vivono di luce riflessa. Stanno buoni per tanto tempo, fino al gol di Bertolacci che regala il primo boato, l'ennesima emozione. Alla fine si abbracciano tutti i milanisti come sospinti da una nuova, inattesa speranza. Giocare in contemporanea poi non è così male, a giudicare dall'esito ultimo. Il derby di domenica sera è un'altra serata da vivere, col cuore in gola e con lo scudetto non così lontano. Da non credere, insomma. Come succede anche a qualche cronista di antico pelo.
Si vede subito che il Milan ha voglia, quasi che pregusti l'evento, si coglie al volo la differenza tra l'interesse dello stadio (per 2/3 vuoto) e la determinazione dei berlusconiani sul prato. La sequenza iniziale rischia di incenerire la difesa atalantina se non trovasse in Consigli qualcosa più di un portiere, una specie di trincea di cemento armato contro cui s'infrangono le cannonate di Ibra e Boateng, liberati al tiro da posizione favorevole. Al terzo tentativo, il Milan passa (a rivedere le immagini in tv c'è da segnalare un fuorigioco millimetrico, di quelli impossibili da cogliere dal vivo) con il suo uomo simbolo della polemica con la Juve, Sulley Muntari insomma, che di gol ne avrebbe a questo punto 4 se gli avessero dato buono quello buonissimo contro Buffon. A dispetto delle apparenze iniziali, la sfida decolla e riesce anche a raccontare dell'opposizione fiera e tenace dell'Atalanta capace in un paio di circostanze di sfiorare il meritato pareggio (Denis il protagonista assoluto: su un bel colpo di testa Abbiati fa il fenomeno). Il facile vantaggio procura qualche illusione di troppo nel cuore dei milanisti che invece di chiudere il conto cincischiano in particolare con Ibra, autore di una frazione, la prima, colma di errori, passaggi sbagliati, tiri senza senso e cicchetti gratuiti riservati a un po' di comprensivi sodali (Ambrosini e Nocerino) che se la prendono allegramente conoscendo bene il soggetto da cui provengono.
Il talento di Cassano luccica a intermittenza, i due compari del gol non riescono ad apparecchiare le solite trame, non certo per mancata assistenza da parte di Boateng e degli altri, specie i centrocampisti, che accompagnano e scortano le migliori giocate della compagnia, Muntari è tra i migliori alla fine. Si mette in luce anche il ragazzino scelto da Allegri per sostituire Abate (risparmiato per il derby), De Sciglio che ha modo di farsi apprezzare non solo dalla critica, anche dal pubblico di casa. Nell'attesa del Lecce Allegri si cura anche dei recuperi, indispensabili e non. Per esempio Mexes, riproposto per far rifiatare Yepes, più avanti anche Robinho per dare il cambio allo spolpato Cassano. Persino il ribelle Flamini trova posto nell'ultimo spezzone di serata rientrando sul prato di San Siro dopo nove mesi (infortunio durante il trofeo Berlusconi in piena estate, 21 agosto).
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