Romano di nascita, romanista di fede calcistica, ma friulano a tutti gli effetti. Andrea Di Nino è uno dei personaggi più interessanti del nuoto: già ct di Trinidad e Serbia, da un anno è ct della Russia, dopo aver fondato nel 2005 l'Adn Swim Project, primo programma europeo per atleti internazionali.
Di Nino, a fine 2012 è stato anche eletto allenatore dell'anno dalla Federazione russa.
«Una bella soddisfazione. Dopo i Giochi di Londra, ora sarò ai Mondiali di Barcellona, la prima volta di un tecnico non sovietico alla guida della loro squadra».
Come sono cambiati gli atleti di quella nazione?
«Diciamo che l'attuale generazione ha più coraggio a prendere la valigia e lasciare casa. Rispetto ai loro colleghi più "vecchi" hanno più fame, hanno una mentalità più occidentale e hanno meno difficoltà con l'inglese. Anche il rapporto con l'allenatore è diverso: prima si aspettavano sempre l'input del coach, oggi c'è maggiore condivisione nelle scelte. E infine sono molto aperti ai social network. L'unico fattore non gestibile è quello umano: l'atleta sui blocchi è da solo contro gli altri».
Ormai l'allenatore italiano va di moda in Russia: Capello, Spalletti, Cerioni, Messina...
«Il calcio è più lontano dalla nostra realtà, ho avuto modo di parlare solo con gli altri due. Per loro il lavoro è più semplice visto che possono portare un'intera struttura e possono imporre un modello. Io collaboro con tecnici che parlano solo russo, anche se resto lì solo 2 mesi all'anno. Porto gli atleti in giro per i collegiali, su questo mi sono imposto».
Lei ama molto il basket.
«Cerco di rubare molto a questo sport, e poi Messina, del quale ho seguito più volte gli allenamenti, ha un gran carisma ed è un vincente. In più ho come consigliere Claudio Coldebella, ex grande cestista che ora avrà un ruolo importante nella Federazione».
Parliamo dell'Adn Swim Project nato a Caserta.
«È un programma completo per fornire agli atleti tutti i servizi fondamentali per competere nelle grandi competizioni. Chi viene da noi ha il chiaro obiettivo di vincere e fare il salto di qualità. Per loro è come un college americano».
Quanti atleti avete?
«Ne abbiamo sei: due russi, un azero, un ucraino e due brasiliani. Ed è una squadra giovane, media 22 anni. Dobbiamo ringraziare la provincia di Caserta che ha creduto nello sport, ma c'è stata grande integrazione e sinergia con il territorio. La mia idea è stata quella di creare una struttura aziendale, in cui la chiave di lettura principale è l'organizzazione e l'head coach deve essere il punto di riferimento.
E la nazionale italiana?
«Giappone, Australia e Usa hanno strutture più snelle, l'Italia sta iniziando ora un percorso con la figura del ds. Ci sono molti atleti azzurri di qualità che hanno un buon futuro».
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