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Uomo solo al comando. Mattia sfida il destino con la Ferrari vincente

La freddezza della proprietà dopo i successi, ma per Binotto arriva la carezza di Montezemolo...

Uomo solo al comando. Mattia sfida il destino con la Ferrari vincente

C'è quel ragazzo che a suon di vittorie ha conquistato tifosi e meno tifosi, padri e madri, nonne, ragazze e adolescenti sognanti. Perché è coraggioso, ha talento, ha gli occhi grandi da manga e guida una Ferrari bella come lui. Un vero principe per i natali monegaschi e perché affascina e conquista e vola nel mondiale con forza e prepotenza. Dopo tre gare chi lo insegue dista 34 punti, più o meno gli stessi, 39, che separano il Cavallino dalla Mercedes seconda. Un principe rosso, Charles Leclerc, non azzurro, ma in questi casi chissenefrega, la fiaba resta. Riflettori e attenzioni, applausi e ovazioni sono tutti per lui eppure c'è un altro uomo, per la verità lasciato solo al comando, che dovremmo oggi sostenere e anche applaudire: non è un principe, non ne ha il fisico, ricorda più facilmente un professore pazzo quando la macchina va e Groucho Marx quando non va. Ha gli occhiali tondi, i capelli sparati all'insù e anche lui pare un fumetto, non un manga giapponese, bensì Tom & Jerry quando il micio mette la zampa nella corrente. È Mattia Binotto, il team principal. Ingegnere motorista e capo della Ferrari F1 dal 2019, Binotto ha una dote rara nell'ambiente squalo e sospettoso della F1: la schiettezza. La passata stagione, in occasione della presentazione della disgraziata SF21 e conscio che tutte le energie e risorse erano state dirottate sull'auto del 2022, disse fin da subito, minuto uno della conferenza stampa, «fatevene una ragione come noi, sarà un mondiale di sofferenza, senza speranze di vittoria» questo il sunto. Un anno dopo, al lancio in febbraio della F1-75, ha detto invece «non firmerei per un secondo posto alla prima gara...». Cioè sapeva bene che cosa aveva in mano.

Nelle segrete stanze maranelliane, più di uno gli ha fatto notare che forse sarebbe stato meglio non sbilanciarsi così tanto. Ma si sa: la schiettezza in taluni è figlia dell'incoscienza, in altri, come nel caso di Binotto, della perfetta conoscenza dei propri uomini e della bontà del lavoro fatto. Dote, quest'ultima, rara e tipica dei buoni capi. Ciò nonostante, anche dopo due vittorie in tre gare, Binotto dà la sensazione di essere un uomo solo al comando. La mancanza ancora ieri di un plauso della proprietà alimenta questa sensazione, quasi la bontà della monoposto avesse scombinato decisioni già prese o in procinto di essere avallate. Si vedrà. Si capirà. Intanto Binotto si accontenti del plauso e della manifestazione di vicinanza di chi lo assunse, l'ex presidente Luca di Montezemolo: «Vedere dopo tanto tempo una Ferrari così competitiva è una cosa bellissima. Tanti complimenti, in particolare a Binotto, e a tutti i ragazzi della squadra».

Così, giusto per sentirsi meno solo.

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