Telemaco è l'erede al trono d'Itaca, quello che negli anni Settanta si sarebbe detto il classico figlio di papà. I molti miei coetanei italiani nati in quel decennio devono l'esistenza all'audace speranza dei propri genitori di fronte alle gravissime crisi dell'epoca. Ognuno di noi ha imparato da loro a cercare, trovare e accettare un qualsiasi lavoro dignitoso e onesto sul quale soltanto sperare di costruirsi un futuro e un'umanità migliore. Abbiamo ereditato l'ingenua convinzione che la legittimità di ogni autorità e potere si fondi sul consenso libero e informato delle coscienze e dei popoli. Coltiviamo la speranza di poter vivere fino al giorno in cui incrociare negli occhi dei nostri nipoti lo sguardo amorevole e saggio dei nostri nonni. Chiamateci generazione Argo.
Milano
Caro Martinoli. Le sue righe sono belle perché fanno riferimento a ideali, a pensieri, a situazioni che oggi nel ricordo ci sembrano lontani e quasi leggendari. È vero, crisi ben più gravi e tragiche dell'attuale sono state superate da un popolo che aveva speranze, e non solo recriminazioni o rancori. La generazione Argo, come la chiama lei, ha consegnato ai figli e ai nipoti un'Italia imperfettissima, ma con miserie diverse da quelle d'oggi. Spesso non ce lo ricordiamo, ma in tempi non troppo remoti -perché vissuti da me -l'Italia aveva crucci opposti agli attuali. Era un Paese prevalentemente agricolo dove furono ingaggiate battaglie del grano nella convinzione che quello fosse il terreno economico e produttivo su cui battersi. Era un Paese di forte emigrazione e di affliggente sovrappopolazione. Adesso è un Paese altamente industrializzato d'immigrazione -pur i questi tempi di vacche magre importiamo badanti, non le esportiamo- e di triste denatalità. Il richiamarci alla generazione Argo può farci accettare con maggiore serenità e maggior coraggio le attuali afflizioni e delusioni.
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