Stop europeo ai pagamenti lumaca

Trenta giorni, al massimo 60: sono questi i termini entro cui l’Amministrazione pubblica, comprese le aziende controllate dallo Stato, dovrà tassativamente saldare le fatture dei suoi fornito­ri, pena il pagamento di salati inte­ressi di mora; almeno l’8% più il tasso di riferimento della Bce

Trenta giorni, al massimo 60: sono questi i termini entro cui l’Amministrazione pubblica, comprese le aziende controllate dallo Stato, dovrà tassativamente saldare le fatture dei suoi fornito­ri, pena il pagamento di salati inte­ressi di mora; almeno l’8% più il tasso di riferimento della Bce. Lo stabilisce la direttiva approvata a larghissima maggioranza dall’Eu­roparlamento, che ha già incassa­to l’accordo del consiglio. Le nuo­ve norme- che dovranno entrare in vigore entro due anni - avranno in Italia un impatto importante, che costringerà la macchina della Pubblica amministrazione a cam­biare marcia: basti pensare che, complice anche la crisi, i tempi medi dei pagamenti da parte del settore pubblico hanno raggiunto i 186 giorni, e che gli arretrati accu­mulati ammontano a circa 70 mi­liardi, di cui la maggior parte «im­putabili » a spese sanitarie. Qui la situazione è anche peggiore: i ri­tardi nella liquidazione delle fattu­re superano addirittura, in alcuni casi, la soglia dei 500 giorni. Un problema diffuso anche Ol­treconfine, però, visto che pro­prio per il settore sanitario è stato previsto l’allungamento del limi­te massimo a 60 giorni, ma solo nel caso in cui si tratti di società pubbliche (e non amministrazio­ni). Addirittura in tutta l’Ue, se­condo l’European Paymant In­dex, se la totalità dei soggetti coin­volti - privati, aziende e Pubblica amministrazione - pagasse i suoi debiti l’economia riceverebbe un’iniezione di liquidità pari a 300 miliardi di euro, l’equivalente del debito pubblico della Grecia. Tuttavia, la Pubblica amministra­zione italiana resta la maglia nera d’Europa, a confronto con i 71 giorni di attesa media di pagamen­to in Francia, per non parlare dei 48 del Regno Unito e dei 40 della Germania. Soddisfatto, a conclusione del lungo e difficile negoziato, il com­missario Ue all’Industria, Anto­nio Tajani: la direttiva permetterà alle imprese e in particolare alle Pmi di «avere più liquidità e di evi­tare il peso di abusi», ha commen­tato. Spesso, infatti, le imprese più piccole, strangolate dal ritar­do dei pagamenti, sono costrette a ricorrere a prestiti bancari per far fronte alla mancanza di liquidi­tà. Un costo che la Cgia di Mestre calcola intorno ai dieci miliardi l’anno, comprese le spese da so­stenere quando si è costretti a ri­volgersi a una società di recupero crediti. Cifre imponenti ma inevitabili, dato che «solo nei confronti della sanità italiana - ricorda il segreta­rio Giuseppe Bortolussi- le impre­se vantano crediti per 33 miliar­di».

E alla gravità dei ritardi nel set­tore della sanità si riferisce anche Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che definisce la di­rettiva Ue «un vero passo avanti», aggiungendo che ora occorre im­pegnarsi affinche entri in vigore entro i tempi stabiliti. Un’esigen­z­a condivisa anche da Confartigia­nato, dato che la direttiva è «fonda­mentale - sottolinea il presidente, Giorgio Guerrini - per dare uno strumento in più al rilancio del­l’economia».

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