La storia all’ombra del Re Sole

Lo scrittore francese narra in un magistrale romanzo l’avventura del carismatico monarca alle prese con diabolici intrighi di corte e una nazione da risollevare

«I re sono spesso costretti a far cose che contrastano con la loro inclinazione e feriscono la loro naturale benignità. Devono compiacersi di beneficare, eppure spesso bisogna che puniscano e rovinino le persone di cui naturalmente vorrebbero soltanto il bene. L’interesse dello Stato deve essere anteposto a tutto... Nulla è pericoloso quanto la debolezza, di qualunque natura essa sia».
Così scriveva Luigi XIV riflettendo sul mestiere di re. Pensieri vergati, o più probabilmente dettati, in anni in cui nessuna nuvola adombrava ancora la sua potenza. Eppure velati di malinconia, di una profonda coscienza del peso del dovere. Perché, a differenza di molti altri monarchi, il Re Sole non si limitò a governare, a guerreggiare, a muovere con sagacia le sempre scivolose leve del potere di corte. Cercò anche di trasformare la sua conoscenza degli intricati meccanismi della politica in dottrina in precetti da trasmettere al figlio (quel Luigi di Borbone detto il Gran Delfino che morì prima del padre). Nacquero così una serie di scritti, raccolti sotto il titolo di Memorie che in Italia sono stati pubblicati pochissimo e letti ancor meno. Adesso però il testo è tornato in libreria per le edizioni SE (pagg. 222, euro 22, a cura di Gigliola Pasquinelli).
Composte con la collaborazione di due intellettuali di corte, Périgny e Pellisson, le Memorie sono relative agli anni 1661-1668. Si concentrano sui momenti salienti della politica del sovrano, mettono in luce le scelte che il Grande Luigi riteneva fondamentali per il successo politico. Nel loro essere prodotti dell’ambiente di corte, nella loro volontà pedagogica, non possono essere considerate un resoconto oggettivo delle scelte e della politica del sovrano che cercò, senza successo, di piegare tutte le nazioni europee alla supremazia della Francia. Eppure, magari a contorno del bellissimo romanzo di Max Gallo, ci permettono di avvicinare la psicologia dell’uomo che, più di ogni altro, ha forgiato i destini del Seicento, il secolo di ferro. Il despota illuminato che volle governare il mondo, e quasi ci riuscì, è molto umano quando racconta dell’enorme peso della sua infanzia, schiacciata tra Fronde, congiure e intrighi politici. Ancora più umano quando desidera che al figlio non capiti nulla di simile. La sua descrizione dell’arte del governo come arte del possibile e suprema curiosità di «tutto sapere... tutto vedere» potrebbe essere una lezione anche per molti politici attuali. Soprattutto quando Luigi XIV ammette che politica è anche sapersi affidare all’istinto e al caso.


Leggendo si può mettere in soffitta anche il vecchio dubbio sulla frase «Lo Stato sono io». Se il Re Sole non l’ha mai detta, pazienza. Ha ribadito il concetto in un sacco di pagine. Ma non con boria, semmai con triste orgoglio.

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