Strumentalizzata l’aviaria

Prima che il virus H5N1 giungesse nel nostro Paese, il mondo ambientalista aveva sostenuto la necessità di vietare la caccia anche per impedire che l'esercizio venatorio causasse disturbo alle specie selvatiche inducendole a spostamenti sul territorio che avrebbero potuto favorire il diffondersi di una possibile epidemia. Posizioni immotivate in quanto tali movimenti sono assolutamente indipendenti dalle pratiche della caccia.
Con l'avvento del virus il ministero della Salute ha adottato misure urgenti di protezione per i casi di aviaria ad alta patogenicità negli uccelli selvatici prevedono restrizioni alle normali attività antropiche, agli allevamenti e agli spostamenti di animali allevati, l'abbattimento e distruzione di soggetti infetti, sospetti di infezione e di contaminazione e qualora la situazione lo richieda, anche l'abbattimento e la distruzione dei volatili selvatici o domestici presenti.
Proprio queste ordinanze hanno determinato uno strano comportamento del mondo ambientalista in quanto la comparsa del virus è avvenuta a stagione venatoria terminata. Sono invece risultate preoccupanti per gli ambientalisti le altre disposizioni, ossia la possibilità per i sindaci di disporre abbattimenti della fauna selvatica infetta e non, al punto che sono subito intervenuti esprimendo dubbi e contrarietà e minacciando ricorsi e denunce.
È iniziata così una girandola di comunicati sia in difesa della fauna selvatica (infetta e non) sia di rassicurazioni circa il loro reale ruolo «contagiante», definito nullo per l'uomo. Il Wwf ha dichiarato che «sull'aviaria si sta diffondendo una paura ingiustificata: non esiste un solo caso di trasmissione del virus da animale selvatico all'uomo. Esistono barriere naturali che impediscono la diffusione da specie a specie e l'ipotesi più probabile e che questo mini-focolaio in Italia si auto-estingua in pochissimo tempo».
Anche Mauro Delogu, virologo del dipartimento di Salute pubblica e veterinaria e Patologia umana dell'Università di Bologna, da 12 anni impegnato in ricerche nelle oasi Wwf sui virus aviari, ha voluto gettare acqua sul fuoco rassicurando gli italiani: «Non c'è nessun pericolo, ne per gli animali urbani, ne nel frequentare le aree umide perché i nostri eco-sistemi sono blindati, il virus con tutta probabilità si annienterà da solo e in questi mesi invernali lo scambio tra specie potenzialmente a rischio e specie urbane è praticamente nullo».
Allora gli ambientalisti concordano con noi e con la scienza sul fatto che la presenza del virus H5N1 in alcuni esemplari di alcune specie di avifauna migratoria non rappresenti un problema per la salute pubblica e per la sicurezza alimentare e che quindi si possa tranquillamente frequentare anche le zone umide. E bene hanno fatto a tranquillizzare l'opinione pubblica. Ma se si parla di caccia tutto cambia. Allora la fauna selvatica ritorna pericolosa e non va ne abbattuta ne disturbata, perché se no l'epidemia si diffonde maggiormente, con evidente strumentalità di certe posizioni.
E sarà bene ricordarselo e ricordarlo alle competenti istituzioni quando qualcuno tornerà alla carica con richieste di chiusura dell'esercizio della caccia in occasione della prossima stagione.

Nel frattempo come mondo venatorio continuiamo a contribuire al monitoraggio della situazione e auguriamoci che il problema si risolva da solo dando modo alla Natura di fare il suo corso senza creare altri ingiustificati e controproducenti, allarmismi.

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