Gli studi di settore e la morte dell’impresa

Caro Direttore,
in questi giorni si fa tanto parlare di politici e di evasori, gli uni per le prebende di cui godono, gli altri per i danni che causano all’erario e quasi sempre in questa categoria si inseriscono gli imprenditori.
Se mi concede lo spazio vorrei dare qualche chiarimento a quei lettori a digiuno di fiscalità per cercare di far capire come in realtà stiano le cose e lo farei con un piccolo esempio.
Prendiamo un piccolo imprenditore con la sua fabbrichetta con 20/25 dipendenti. Il Brambilla della situazione a maggio è alle prese con il suo bilancio, le cose sono andate bene e l’utile lordo è di 200mila euro: bisogna calcolare le imposte. Si comincia con l’Ires (33%): 66mila euro, una bella cifra, ma ci sta. Il problema è quando si passa al calcolo dell’Irap (4,25%), molti non sanno che la base di calcolo di questa imposta (semplificando) è dato dall’utile 200mila euro più i costi del personale e degli amministratori, diciamo nel nostro esempio 800mila, quindi 1 milione di euro che al 4,25 sono ben 42.500 euro, che sommati ai 66mila di cui sopra portano le imposte a 108.500: siamo già sopra al 50% dell’utile. Finito? No, il nostro Brambilla deve ora affrontare lo studio di settore per la sua categoria e, inserendo i suoi dati contabili, scopre che i ricavi da lui dichiarati non sono congrui (mi creda sta succedendo a tutti in questo periodo). Diciamo che dallo studio è sotto di circa 50.000 euro.
Il nostro vorrebbe adeguarsi, a questo punto deve pagare l’Iva 20% (peraltro non deducibile) e di nuovo Ires e Irap (37,25%) e siamo a ulteriori 28/29mila euro.
Finito? No caro Brambilla, ci sono gli anticipi di giugno e novembre (100% delle imposte calcolate, 108.500), è vero si detraggono quelli dell’anno prima, ma siccome quest’anno le cose sono andate bene, c’è stata la famosa ripresa, gli anticipi dell’anno prima sono di 50.000 euro, pertanto il nostro deve versarne altrettanti. Faccia Lei i conti, ma come vede abbiamo superato di gran lunga l’utile dichiarato. A questo punto l’amico Brambilla ha tre possibilità:
1. Pagare tutto accendendo un mutuo con la sua banca, consapevole che gli interessi passivi che pagherà formeranno la base imponibile dell’Irap del prossimo anno (ben gli sta, così impara a non guadagnare di più, paghi pure due volte);
2. Licenziare la metà dei suoi dipendenti e terzializzare il lavoro, in questo modo avrà un’Irap più leggera e rientrerà negli studi di settore;
3. Chiudere e tentare la strada politica, con la stessa somma che paga allo Stato può finanziarsi una campagnetta elettorale e se gli va bene si sistema;
4. Gli altri sistemi li lascio alla sua fantasia, ma temo non siano più nella via della legalità.
A questo punto chi ne beneficia? Sicuramente lo Stato, che nel breve avrà un «tesoretto» per pagare esequie di prima classe ai suoi servitori, ma forse sarebbe bene serbarlo per la Cassa Integrazione che dovrà servire per i dipendenti del Brambilla.
Il vero beneficiario è la banca che, comunque vadano le cose, non ci smena mai.Chissà perché stiamo assistendo a tante brillanti operazioni di fusione con capitalizzazioni miliardarie...


Può capire ora perché tanti imprenditori sono piuttosto seccati (per usare un eufemismo) e non solo per il trattamento fiscale, ma anche e soprattutto per essere continuamente additati a pubblico ludibrio quali grandi evasori di questo Paese.

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