Studi di settore, l’errore è in agguato

Duecentomila contribuenti, lavoratori autonomi e imprese, sottoposti all’accertamento mediante studi di settore riceveranno una lettera del fisco, che chiederà loro di giustificare il rilevante scostamento dal ricavo denunciato nella dichiarazione dei redditi rispetto a quello dello studio di settore e per invitarli ad adeguarsi ad esso. I contribuenti sottoposti agli studi di settore sono 3 milioni e 700mila, una percentuale altissima di quelli tassabili per il reddito di impresa o di lavoro autonomo. Infatti l'Irap colpisce circa 4 milioni di contribuenti e da ciò si dovrebbe desumere che solo 300mila sono soggetti alla tassazione analitica, in base alle scritture contabili, senza studio di settore. Su cento contribuenti sottoposti agli studi di settore, nel 2008 circa 60 sono rientrati automaticamente nei parametri risultanti da tale strumento. Degli altri 40, solo 4 o 5 sono rimasti fuori nel limbo, in quanto i dati da essi denunciati erano Idc, cioè nel cosiddetto «intervallo di confidenza», termine con cui si indica la percentuale di probabilità che il valore individuato statisticamente si scosti da quello giusto, sempre in senso statistico.
Un piccolo scostamento dal risultato dello studio di settore non rileva per il fisco, in quanto rientra nel margine di errore statistico. Quindici contribuenti su 100 sono rientrati nei parametri degli studi di settore per adeguamento volontario, mentre i restanti 20 sono rimasti fuori. Ma di questo totale, pari a circa 750mila unità, solo un 8%, circa 60mila contribuenti, è stato sottoposto a verifica. Posto che le percentuali del 2009 siano simili a quelle del 2008, ci sarebbe un milione e mezzo di contribuenti che ha uno scostamento rilevante dagli studi di settore. I 200mila che ricevono la lettera che li invita a spiegare il loro non allineamento con lo studio di settore e l’invito ad adeguarsi, per via telematica, sarebbero circa il 13% di tale totale. È chiaro che sono quelli che,stando a questo meccanismo statistico, hanno una dichiarazione dei redditi meno credibile delle altre. Ma ciò non sulla base di una analisi della loro contabilità, bensì sulla base del loro scostamento dallo studio di settore di competenza, che può derivare da molte diverse ragioni, inclusa quella che i settori sono rozzamente definiti e la realtà è più complessa. Che debbono fare questi soggetti? Accettare l’invito ad «adeguarsi»? Secondo la Cassazione, sulla base dei principi costituzionali, gli studi di settore sono solo uno strumento di controllo delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti, non un mezzo di prova della loro erroneità. L'onere della prova di una evasione ricade sul fisco, che deve dimostrare ciò, senza appigliarsi soltanto allo studio di settore. Ma se la lettera del fisco chiede al contribuente di spiegare perché la sua dichiarazione si discosta dallo studio di settore, fra questa richiesta e la sentenza della Cassazione sembra che ci sia un contrasto. Occorrerebbe chiarire che non è così e che questa lettera con l’invito ad adeguarsi allo studio di settore costituisce solo una precauzione, un mezzo ulteriore a disposizione del contribuente. E bisognerebbe chiarire che i registri Iva e la contabilità a cui il contribuente è tenuto, in base alla natura della sua attività economica e alla relativa regolamentazione di diritto civile, fiscale e previdenziale (per il lavoro autonomo, per le imprese individuali, per le società senza persona giuridica, per le srl e le altre società di capitali), fanno fede sino a prova contraria.
La situazione attuale è abbastanza assurda. Infatti gli operatori economici sono tenuti a una quantità di incombenze contabili che comportano un costo per commercialisti elevato e che implicano notevoli complicazioni operative. Ma poi tutto ciò può risultare carta straccia, di fronte ai parametri degli studi di settore. Va aggiunto che da calcoli sommari risulta che la sottofatturazione Iva è molto elevata, circa il 40% del vero, forse di più. Ma sin quando per il ricavo non farà testo il registro Iva e gli studi di settore utilizzeranno i costi per stimare i ricavi presunti, vi sarà una inevitabile tendenza a non fatturare. Chi compra non vuole la fattura perché dai costi si possono desumere i ricavi.

E chi non fa la fattura è equiparato a chi la fa, qualora lo studio di settore si discosti dalla sua contabilità. L’iniziativa di quest'anno è un passo avanti. Ma ne occorrono ancora altri, affinché si giunga a una situazione di rapporto leale fra fisco e contribuente.

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