Sul fisco Svizzera e Italia ai ferri corti

MilanoLe parole volano come mai era accaduto. I toni si surriscaldano. Gli ambasciatori vengono convocati, a segnalare un’irritazione crescente. Roma contro Berna. Berna contro Roma. Incursioni e comunicati. Per la Svizzera l’operazione scatenata l’altro ieri dall’Agenzia delle entrate nelle filiali di settantasei banche elvetiche è «una razzia». E il blitz è un «atto intimidatorio». Il confine, un tempo il più aperto, ora diventa una cortina e Berna risponde a Roma con una mossa tutta politica, da manuale di storia: convoca l’ambasciatore italiano perché dia adeguate spiegazioni su quel che è successo a Milano, Torino, Roma, nelle sedi di istituti un tempo impenetrabili, come Ubs. Erano inviolabili i caveau svizzeri, come chiese. Ma ormai sono arrivati i profanatori e la guerra, psicologica ma non solo, pare inarrestabile. Al centro della contesa c’è lo scudo fiscale e l’atteso rientro dei capitali detenuti illegalmente oltreconfine. In Svizzera sarebbero stipati 150 miliardi di euro. L’obiettivo è farli tornare. A tutti i costi. Per combattere la crisi.
Ma l’operazione scudo va immaginata in uno scenario internazionale terremotato: ormai i Paesi cassaforte che difendono il segreto bancario sono in crisi. E il mito della Svizzera blindata è a pezzi. Le chiavi nella serratura le ha fatte girare per prima l’amministrazione americana che, dopo un durissimo braccio di ferro, ha ricevuto da Berna i nomi di migliaia di clienti di Ubs. E proprio ieri un cliente di Ubs, il primo della lista a stelle e strisce, è stato condannato negli Usa. Steven Michael Rubinstein rimarrà un anno agli arresti domiciliari per evasione fiscale.
Ora, siamo alla resa dei conti con l’Italia. In Svizzera si diffondono voci e gossip, tutti da verificare. La Neue Luzerner Zeitung riporta l’allarme lanciato dal presidente del Canton Ticino, Gabriele Gendotti: «Agenti della Guardia di finanza italiana spiano in territorio elvetico i loro connazionali ed eseguono controlli sui treni». Vero? Falso? Solo una chiacchiera alimentata dal clima di crescente nervosismo? Certo, al valico di Chiasso le auto vengono fotografate, le targhe immortalate, le incursioni si susseguono alle incursioni.
Il blitz di martedì è l’ultimo capitolo. Gli italiani sostengono che le banche non sempre segnalano come dovrebbero i dati e i movimenti dei loro clienti all’Archivio unico dei conti finanziari. Gli svizzeri, in un’escalation senza precedenti, rispondono chiamando l’ambasciatore. E il presidente del Canton Ticino commenta con toni bellicosi la situazione: «La Svizzera deve reagire perché con le belle parole non si va molto lontano con gli italiani». Ma gli italiani, fa notare Gendotti, fanno sul serio. Ed hanno installato persino le telecamere al confine: «L’Italia si trova in una profonda crisi, il Pil cala, il Paese è fortemente indebitato e la situazione economica è difficile».
Nel pomeriggio, dopo una giornata di grande tensione, il nostro ambasciatore Giuseppe Deodato viene ricevuto dal governo di Berna che esprime «sorpresa, in particolare per l’ondata di controlli fiscali». «La Svizzera - si legge in una nota del ministero per gli Affari esteri - ha tenuto a far valere a che punto e in che contesto essa coopera con la comunità internazionale, gli Stati membri e in particolare con l’Italia nelle vicende fiscali».
Così il clima anti-italiano si diffonde. Il leader del partito liberale radicale svizzero Fulvio Pelli nota come Roma abbia l’intenzione di mettere in cattiva luce le banche svizzere. «L’Italia - è il parere di Pelli che fra parentesi è anche presidente della Banca Cantonale del Ticino - ha superato da tempo il limite della discriminazione». Ma in Svizzera c’è anche un’altra scuola di pensiero.

A chi pensa che il blitz impaurirà gli evasori e faciliterà il rientro dei capitali, si oppone chi svolge un ragionamento esattamente opposto. Molti italiani, stufi di questo Stato, trasferiranno la residenza in Svizzera.

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