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Messaggi spiati e a rischio? Altra bufera privacy per WhatsApp

I messaggi inviati su WhatsApp potrebbero essere spiati in fase di backup: bufera privacy per l'app, al centro di una nuova ondata di critiche.

Messaggi spiati e a rischio? Altra bufera privacy per WhatsApp

La questione privacy è sempre un tema che tiene banco quando si parla di WhatsApp. Il rapporto con Facebook ha reso senz'altro più complicata la gestione dei dati personali e dei contenuti privati degli utenti. A sottolinearlo arriva un ulteriore capitolo della vicenda, che in questo caso ruota attorno alla questione codifica dei messaggi e degli allegati.

Andiamo con ordine, a cominciare dalla questione legata alla crittografia dei messaggi inviati tra gli utenti. Forse non tutti sanno che WhatsApp assicura sì la crittografia "end-to-end" dei messaggi, ovvero solo mittente e ricevente possono conoscerne il contenuto, all'interno delle conversazioni, ma lo stesso non vale quando si tratta di salvataggio sui vari cloud.

Nel momento in cui avviene un backup su Google Drive (Android) o su iCloud (iOS Apple), tale codifica non avviene. Almeno finora, perché lo stesso Mark Zuckerberg ha dichirato che è in arrivo un secondo livello di codifica, che riguarderà proprio questo ambito e si aggiungerà a quella dei messaggi in conversazione.

WhatsApp, questione privacy risolta? Pare di no

Si potrebbe pensare che la questione privacy relativa a WhatsApp possa definirsi risolta. Pare di no, almeno stando a quanto pubblicato su ProPublica.org. Come affermato dal sito indipendente no profit, circa mille dipendenti dell'azienda utilizzerebbero un software di Facebook per verificare i contenuti foto e video condivisi dagli utenti.

Per ciascun contenuto che appare sul loro schermo, tali addetti emetterebbero un giudizio relativo a eventuali violazioni in termini di violenza, pedopornografia, frode o spam, persino possibili complotti terroristici. Il tutto mediamente in meno di un minuto per ciascuno contenuto visionato.

Ad ogni modo, aggiunge il sito, tali contenuti verrebbero immessi in tale flusso unicamente se segnalati dagli utenti che vi hanno avuto accesso. Curioso appare però un commento fatto dal direttore delle comunicazioni di WhatsApp, Carl Woog, secondo il quale tale pratica non verrebbe considerata dalla compagnia come "moderazione dei contenuti".

Questo malgrado i vertici Facebook abbiano apertamente dichiarato che 15mila addetti alle verifiche valutino ogni giorno i contenuti pubblicati sulla piattaforma madre o su Instagram.

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