Tocca a Centrella, l’operaio al potere del dopo-Polverini

Troppo facile stare con Petronio. Ma se avesse ragione Trimalcione? Il dubbio viene da qui. Un signore brizzolato sta parlando da un’oretta. Ogni tanto scambia uno sguardo con la sua donna, mora, matrona, protettiva. Lui è Flavio Briatore ed è lì, nel foro di Matrix, davanti a tre milioni di telespettatori, a raccontare quello che è successo con il suo yacht. Flavio non è un oratore. Qualche volta si incarta. Non fa citazioni. È quasi timido. Ma quello che dice sa di buon senso. Gli hanno sequestrato il barcone. Dicono che evade le tasse e le accise sulla benzina. Dicono che con la scusa di affittarla ai ricchi del mondo gabbava il fisco. Lui mostra le sue carte e gira un paio di domande. Era necessario fare un abbordaggio in diretta come se fosse un reality show? Perché al largo? Non si poteva aspettare che la nave arrivasse al porto di La Spezia? Scappava? No, stava andando lì. Poi dice: se il giudice mi darà torto pago tutto quello che c’è da pagare. L’importante è fare in fretta. Quello yacht è un’azienda. C’è gente che ci lavora e aspetta uno stipendio. Tenerla ferma non conviene a nessuno. Non sembrano ragioni irragionevoli.
Briatore è facile da attaccare. Non nasconde la sua ricchezza. Te la sbatte in faccia. I suoi soldi non sono stati lavati dal tempo. È uno che non santifica i libri: «Non vedo perché devo perdere tempo a cercare di capire uno scrittore che ha scritto senza la preoccupazione di spiegarsi». Briatore è il lusso sfacciato. È il Billionaire. È le babbucce sotto i jeans: «Sono comode». È l’aria da pirata e da brigante. È quel soprannome «Tribula» che si porta da Verzuolo, faticatore. È tutto quello che lui non rinnega, non rimpiange, ni le bien, ni le mal, come fosse una canzone di Edith Piaf. È il manager che per sette volte ha portato le sue scuderie alla vittoria in F1. È uno che ha chiamato il figlio con il nome di un cartone animato giapponese, quel Ken Falco prototipo di Schumacher e di Alonso, e di tutti i piloti che lui ha scoperto e su cui ha scommesso. Questo è Briatore.
E se avesse ragione lui? Se quest’uomo fosse vittima del razzismo culturale di chi ha sempre considerato i soldi qualcosa di sporco, il lusso senza cultura una bestemmia, il Billionaire il simbolo di un’Italia barbara e volgare? Il peccato di Briatore è lo stesso di Trimalcione. È la rabbia e l’invidia che si prova per l’ex liberto che si gode quello che ha conquistato con il commercio. E il commercio è infame. Non piace ai preti e agli intellettuali. Non piace a Petronio e a Scalfari. Il commercio in un Paese che, in fondo in fondo, si è portato sempre dietro un’anima feudale, è roba da pizzicagnoli e bottegai. Non importa che certi vizi da Billionaire siano gli stessi che si vedono all’inaugurazione del Maxxi o nei salotti tv. Non importa che scrittori e giornalisti, sociologi ed economisti siano boriosi, egocentrici, disposti a tutto, triviali, arroganti come tronisti e veline. Tutti, i colti e gli incolti, in cerca di un attimo di visibilità. La sfiga è che spesso gli «intelligenti» sono più poveri. E chiamano questa sfiga ingiustizia.
Il peccato di Briatore è non vergognarsi del suo commercio. Anzi, lo rivendica. E dice che in Italia ci vorrebbe più gente come lui. La crisi sarebbe lontana. Nella filosofia di Briatore c’è qualcosa degli eroi di Ayn Rand, di un Ellis Wyatt o di un John Galt, quelli raccontati nella Rivolta di Atlante, un gruppo di creatori di ricchezza che con il loro lavoro sorreggono il mondo. È il Briatore che rimprovera all’Italia la politica dei sussidi, i soldi dati a carrozzoni burocratici per aiutare le imprese. E poi fa la domanda più ovvia di tutte: «Ma invece di dare i soldi a chi deve aiutare le imprese, perché non si abbassano le tasse a chi investe?». Briatore è quello che dice alle banche italiane: «Se un artigiano o un commerciante vengono da voi con una buona idea l’unica cosa che ottengono è una porta in faccia».

La sua visione del mondo è tutta in una frase: «Non pagherei mai una bottiglia di vino 30mila euro, ma se c’è qualcuno che la vuole io gliela vendo».
Briatore non ha mai letto Ayn Rand, ma come lei potrebbe dire: «Ostentare la propria intelligenza è una cosa volgare, ancor più volgare che mostrare la propria ricchezza».
È la vendetta contro Petronio.

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