Il Togliatti genovese, le sue «Lezioni» e quell’altro fascismo

Il Togliatti genovese, le sue «Lezioni»  e quell’altro fascismo

In questi giorni poter leggere il libro «Palmiro Togliatti, Corso sugli Avversari. Le lezioni sul Fascismo». A cura di Francesco M. Biscione; Einaudi. 2010, sorprende, prima ancora del contenuto, per l’iniziativa editoriale.
Tali «lezioni» vennero pubblicate dagli Editori Riuniti nel 1970. Dopo di che non sono più state riedite. Anzi, per la precisione, una parte consistente di questo materiale, storiograficamente prezioso, lo aveva anticipato la rivista «Critica marxista» nel 1969. Dove, queste «lezioni» venivano, per l’occasione, anche commentate dal Prof. Ernesto Ragionieri che curò, in seguito, l’opera omnia di Togliatti in 6 volumi, sempre con gli Editori Riuniti.
Nell’attuale pubblicazione, dopo 40 anni, vi si legge persino un significato di provocazione. E in ciò non vi sarebbe nulla da obiettare. E dato che la sinistra brancola in permanenza in una situazione di assenza per elaborazioni e per analisi politiche, questa raccolta di «lezioni» potrebbe fare riflettere.
Potrebbe farci comprendere come si applica un metodo di ricerca storica e di critica politica. La lettura di queste «lezioni» potrebbe suggerirci, per il rigore argomentativo, indicazioni su come oggi ci si potrebbe rapportare - in modo organico - con la realtà politica ed economica in cui viviamo.
Il volume in questione raccoglie 10 lezioni sul Fascismo e altre 5 lezioni dedicate ai partiti in Italia, che furono tenute da Togliatti a Mosca, tra i cosiddetti «rivoluzionari di professione». Inoltre vi è una postfazione documentata, stesa dal curatore (Biscione).
Orbene, nel contenuto delle «lezioni» sul Fascismo, Togliatti capovolge l’impostazione politica della natura borghese-capitalistica (di classe) che, sino ad allora, i comunisti attribuivano al Fascismo. E dove, senza ombra di dubbio, veniva considerato «il braccio armato della peggiore borghesia».
Togliatti ebbe modo di sostenere e dimostrare che non era così.
Per Togliatti, il Fascismo aveva una indole più complessa. Diversa dagli schemi elaborati e imposti dai comunisti in quel tempo. Egli sosteneva che i consensi che il Fascismo riusciva ad ottenere in Italia, scaturivano dalla capacità organizzativa che il regime si esercitava sulle masse popolari.
Infatti il Fascismo otteneva approvazioni entusiastiche tra i sindacati; nelle attività dei dopolavori (ricreazioni sociali, folklore, cultura e altro ancora); tra i giovani universitari (GUF); nelle associazioni sportive e nell’associazionismo più diverso, come nelle corporazioni di mestiere; ecc.. Era da queste coordinate che il Fascismo - per Togliatti - traeva linfa per la sua forza politica. Era lì, da quel ventaglio di aggregazioni di uomini, che il Fascismo si assicurava tutto il suo successo e da dove Mussolini avrebbe, per giunta, fatto lievitare il carisma della propria immagine.
Da Togliatti le organizzazioni di massa del Fascismo sono studiate minutamente in tutti i gangli della loro attività. Per lui rappresentavano - si è detto - non solo le componenti indispensabili per comprendere il fenomeno fascista in generale, ma per intendere gli effetti di attrazione che ne avrebbero consolidato - come dittatura - la continuità.
Comunque, nel contesto di queste lezioni, Togliatti non trascura di definire il Fascismo come regime reazionario. E questo giudizio categorico prevarrà in modo costante per tutta la durata delle sue lezioni.
Perché?
A Togliatti non poteva sfuggire - e questo lo si avverte - che nel mettere in evidenza le capacità propositive del Fascismo, avrebbe potuto sollecitare tra chi lo ascoltava una comparazione (incauta?) tra Fascismo e Bolscevismo. E anche se l’uditorio era composto da giovani comunisti motivati, in lui sarebbe prevalsa quell’arma fatta di dosaggio tattico: la prudenza. Pertanto la ripetizione intercalata di «Fascismo regime reazionario di massa», assume la testimonianza di un tortuoso condizionamento e di quanto egli volesse dissipare ogni rischio di fraintendimento.
Era evidente che Togliatti temeva. Sapeva che sarebbe bastata una considerazione o una definzione espressa fuori dalla ortodossia ideologica, per fare scattare nei suoi confronti il sospetto di eresia. Sarebbe stato sufficiente per finire - e il percorso era breve e collaudato - con un colpo alla nuca, nei sotterranei del Palazzo della Lubjanka (dove aveva sede la Polizia Politica di Stato).
Pertanto bisogna soffocare le intuizioni troppo culturali e tergiversare anche su indicazioni corrispondenti alla verità storica.
Però, trovarsi in una situazione di dissidio permanente, tra la propria coscienza, incline per un comportamento di coraggio, o sottostare con opportunità a ciò che veniva imposto, tormentava.
A pensare che qualche anno prima, nel fervore ideale della sua Torino, Togliatti aveva potuto scrivere sul giornale «L’Ordine Nuovo»: «La politica non è che il rispetto della capacità di leggere quello che esiste, di individuarne con esattezza i molteplici dinamismi interni per riconoscere le strade della verità storica». Al contrario, in URSS, negl’anni ’30, in cui Togliatti si prodigava in quelle «Lezioni», non restava altro che la consolazione di rimandare ad un tempo che si sperava arrivasse presto. Erano speranze di rinnovamento che, purtroppo, non sarebbero mai arrivate.
Un esempio fra tanti casi drammatici è ciò che accadde a Nikolaj I. Bukarin. Uno dei più preparati teorici del marxismo e dirigente politico di primo piano della Rivoluzione Bolscevica del 1917 che, in molti aspetti del suo pensiero potremmo accostare a Togliatti. In un abbozzo politico critico, scritto in alternativa allo stalinismo, ebbe l’ardire di suggerire il concetto di «umanesimo socialista». Non esitarono, nel 1938, ad eliminarlo nella maniera sopra descritta.
Inoltre Togliatti sembra vogli farci intendere ancora - allargando i contenuti dell’analisi - che il Fascismo - non era un movimento nichilista imposto a masse inermi. Tutt’altro. Il fascismo si era affermato - egli precisava - con caratteristiche originali. Dove si erano potuti intrecciare valori e tradizioni popolari con il pensiero colto. È per questo che, in molti passaggi dalla sua idealità, si evidenziavano influenze dall’agire di D’Annunzio ad elementi tratti dalla filosofia di Gentile. Anche se poi Togliatti si guarderà bene dal pronunciare codesti nomi.
Il curatore del libro Francesco Biscione ha incluso - rispetto alle precedenti pubblicazioni - pagine inedite, dove emergono giudizi alquanto severi sugli altri partiti. Ad esempio: della Socialdemocrazia si dice che è il sostegno principale della borghesia; dei Socialisti (Riformisti), che hanno la responsabilità di avere favorito la reazione fascista; degli Azionisti (Giustizia e Libertà) che era un movimento di piccoli borghesi. E, in queste valutazioni di Togliatti, non si salvano neppure gli Anarchici che vengono definiti «manchevoli di vera strategia».
E queste posizioni non sono contrastanti con il suo pensiero.
Il «Corso» di Togliatti - non a caso - è dedicato agli «Avversari». Quindi è comprensibile che anche questi altri partiti politici - nonostante l’acutezza critica che viene loro riservata - non mancano di essere analizzati in qualità di autentiche forze politiche. E la connotazione schematica che ne fa Togliatti corrisponde - come segnalò Ragionieri - ad una precisa tradizione ideologica; tipica della Terza Internazionale Comunista (siamo nel 1935). E di cui Togliatti fu uno dei corresponsabili maggiori.
Però, anche in questo vi sono considerazioni da tenere conto.
Il fatto che come partiti venissero studiati nel rapporto di collegamento e distinzione, con le classi sociali in loro sottese, indica in Togliatti (rimarcandone sempre la doppiezza) una capacità di vedute della politica che si differenziava, non poco, a paragone degli altri dirigenti comunisti pari a lui.
E la parte che emerge, in questo «Corso sugli Avversari», sono le «Lezioni sul Fascismo». Le quali occupano, per importanza politica, non soltanto la centralità dell’intero contenuto dell’opera, ma una quantità di spazio impiegato superiore agli argomenti rimanenti.
L’impressione che si trae dagli scritti storico-politici, sviluppati da Togliatti in queste sue «Lezioni» è di una sostanziale unità. E non solo di una unità formale dato l’ambiente accademico in cui venivano espresse. In Togliatti prevale un metodo espositivo che lo distingue per molti aspetti. Si può anche aggiungere che nella letteratura negl’anni della Terza Internazionale rimanga l’unico a ricollegarsi ad un panorama culturale di ampia veduta europea.
In quello che Togliatti afferma nelle «Lezioni», denota - pur nella palese attenzione di passare indenne alla censura - una concezione del sapere storico ben superiore a quello in uso nei «Manuali» bolscevici. Nel modo in cui affronta la Storia d’Italia, non esita a mettere di nuovo in discussione - per arrivare a definire il Movimento Fascista - punti di vista ed interpretazioni già acquisiti e considerati un presupposto dell’azione politica. È qui, dove si deve cercare, a mio parere, anche la radice di differenze e sfumatura che, pure nell’ambito di un clima politico limitato, danno rilievo ugualmente alla sua valutazione critica del Fascismo.
Comunque sia stato, queste «Lezioni» segnano la fuoriuscita di Togliatti - è opportuno ripeterlo - da una visione settaria della situazione italiana. E perché non dire che in lui vi è pure l’inizio del recupero, in parte, di elementi della sua formazione intellettuale. Se prima il Fascismo veniva giudicato, anche da Togliatti, come un momento della crisi dello Stato liberale italiano (erede di un Risorgimento incompiuto) e successivamente nel tentativo di riscattare nel Fascismo, da parte della Borghesia un «fronte unico» di nuova credibilità, di cui si pronunciò a favore, inizialmente, anche Benedetto Croce. Adesso, l’analisi di Togliatti sul Fascismo si è fatta talmente evoluta politicamente, da superare quella fase e riproporre una conoscenza critica diversa della Storia italiana e per riflesso diversa nel valutare il Fascismo.
Nella conclusione, di questo mio ragionamento, si può affermare che l’interesse prevalente delle riflessioni di Togliatti - per decenni - siano state dedicate alla natura del Fascismo. E quantunque i canoni dello stalinismo si fossero limitati ad etichettarlo come una «rivoluzione anomala» prodotta dal ventre del Capitalismo e scartandone - perciò - l’impegno a studiarne le radici reali del fenomeno, Togliatti, invece, riuscì a seguire e ripensare storicamente l’evento della sua nascita, che avvenne nel 1919, sino alla sua sconfitta definitiva nel 1945, con ben altri criteri.
In Togliatti, il problema del Fascismo, appare persino tramutarsi - tanto sono numerosi gli scritti e gli interventi che vi ha dedicato - in una ossessione. E ogni qualvolta ne scopriva - a suo parere - spunti di novità, sottolineava che «...per combattere bisogna conoscere del nemico le sue forze schierate in campo e anche quella di riserva accampate nelle retrovie...». Togliatti si era permesso di citare un classico della Strategia Militare, Carl von Clausewitz. Il quale non aveva mancato di sottolineare, tra l’altro, che «...la guerra è la continuazione della politica con l’impiego di altri mezzi...».


E se Togliatti - non è da escludere - avrebbe voluto del Fascismo capirne, forse, di più di quanto già conoscesse, quelle sue «Lezioni» rimangono - anche se fuori da un giudizio complessivo del suo operato - una testimonianza di capacità politica interpretativa esemplare.

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