Ci eravamo lasciati con Robert Taro in bilico tra la vita e la morte, dopo un infarto causato dallo stress, dal peso e dal consumo di cocaina, e con Lucas Barres nuovo sindaco che ha appena scoperto il segreto della sua esistenza: è lui il figlio illegittimo, mai riconosciuto, del vecchio caimano della politica.
Quasi due anni sono trascorsi e Marseille è tornata su Netflix con una seconda stagione di otto nuovi episodi. Taro, il monumentale Gérard Depardieu, si è ripreso a tempo di record e non ha nessuna voglia di mollare. Si aggira per la città spostando a fatica la sua mole, non riesce neppure a infilare la camicia nei pantaloni, eppure non ha perso un grammo del suo carisma. Barres, appesantito e segnato dalle vicende e dall'incertezza (il talentuoso Benoît Magimel), vive con ansia la contraddizione tra vita pubblica e privata. Come reagirà a questo ennesimo fardello psicologico?
Se nella prima serie Marseille alternava i due registri espressivi del dramma teatrale e del film d'azione, in questa seconda risultano accentuate le parti dialogiche e i confronti testa a testa fra i vari personaggi. Si parla di più e si spara di meno. Così le vicende si intrecciano con il sopraggiungere di nuove figure e inedite situazioni: il piccolo rifugiato, il giovane presidente della squadra di calcio cui hanno ucciso il padre e nuovo amante di Julia Taro, la capa-tifosa ultrà, colored e lesbica, soprattutto la vice-sindaco Jeanne Costa, appartenente al PF, partito di destra, che scala rapidamente il potere, somigliante non per caso a Marie Le Pen e che assume, puntata dopo puntata, il ruolo di deuteragonista.
Marseille rimane pur sempre un bel noir da camera, nonostante l'eccesso di stereotipi che la indeboliscono rispetto alla prima stagione. Il clandestino, ad esempio, è bello e pulitino come fosse il figlio di Dani Alves e suona il piano manco fosse Mozart: ecco perché l'inquieta signora Taro, scopertasi attivista dei diritti umani, se ne prende cura. Il mondo del calcio è raccontato con troppa faciloneria, slogan e grida dei tifosi hanno metriche improbabili e infantili (sarà colpa della traduzione). La destra cattiva contrapposta a un vago laicismo, magari corrotto ma pur sempre democratico, fa almeno sorridere.
Intrighi tra criminalità e politica, l'incubo di un attentato di matrice islamica, tensioni sociali sempre in agguato non regalano certo uno spot particolarmente confortante a una delle più belle città del Mediterraneo.
Certo, uno zuccherino in confronto alle nostre Gomorra e Suburra, ed è per questo che i politici, dopo averne combinate di ogni, si commuovono di fronte al lungomare, al porto vecchio, a Notre-Dame de la Garde. E per salvaguardare questa bellezza alla fine vengono a patti, anche se qualcosa sul finale (che non rivelerò) ci fa intuire che i colpi di scena non sono finiti. In attesa, speriamo non lunga, di prossimi episodi.
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