Torna il surreale «stregone» di Enzo Striano

Occorre diffidare delle solarità mediterranee quando appaiono in uno splendore eccessivo. Gli scogli, gli imbarcadero e gli asciugamani su spiagge affollate non sempre preludono a un’ottimistica oleografia partenopea. E, a dispetto della retorica canterina che si stende nel repertorio del folklore sotto il Vesuvio, la Napoli del Novecento di scrittori aspri e per nulla consolatori ne ha avuti tanti, da Bernari a Marotta, da Rea alla Ortese. A questa galleria di interpreti di una realtà spesso dolorosa, appartiene anche Enzo Striano (suo il memorabile affresco storico Il resto di niente, ambientato nei giorni della Rivoluzione del 1799), autore nel 1978 di un libro visionario e polemico, grottesco e irridente (Indecenze di Sorcier, ora ripubblicato da Mondadori, pagg. 205, euro 7,80, a cura di Apollonia Striano). Ne è protagonista uno scrittore, costruttore di un plastico-romanzo immaginario, nelle cui pagine vengono scardinati tutti i miti e le imposture dell’immaginario collettivo.
Sorcier è un personaggio che avremmo ben visto agitarsi in certe atmosfere di Landolfi: a metà tra figura carnale ed enigmatica creatura aleatoria, si muove in un universo onirico, popolato da apprendisti stregoni e affascinanti fanciulle. Immerso in una sorte sconosciuta nel cuore di una villa eterea e profumata, dotato di una specie di cosmico eros, la sua aspirazione consiste nel trasformare la materia e appropriarsene attraverso i segreti della scrittura. Vive in una dimensione allegorica, che Striano enfatizza con una serie di citazioni poste ad esergo di ciascun capitolo o direttamente nel testo: da Fromm (che afferma che «il linguaggio simbolico è l’unica lingua straniera che ognuno di noi dovrebbe imparare») a Eliade a Dostoevskij, filosofi e scrittori convinti che dietro l’agire umano si nascondano moventi misteriosi ed estasi impalpabili.
Nella trama antinarrativa di quest’opera dissacrante, in cui le vicende si susseguono senza un apparente ordine logico, si dipanano tuttavia percorsi ironici e provocatori: nella sua missione, Sorcier ha infatti acquisito una saggezza superiore, che gli fa rifiutare l’omologazione e lo rende orgoglioso «di non aver mai accettato il sottile gioco della cupidigia mascherata da ideologie». Egli, inquieto rabdomante alla ricerca di un’esperienza mistica, coltiva l’obiettivo di demistificare le illusioni che gli «intellettuali organici» al servizio di un potere spacciano per verità. E Striano pare quasi divertirsi, mentre evoca suggestioni da realismo magico bontempelliano, a dileggiare le «legioni inquadrate che marciano, martellando la terra borghese sotto i pesanti passi proletari, inalberando i vessilli, verso il futuro miracoloso, il riscatto del mondo».
Maschere e burattini del theatrum mundi contemporaneo passano sotto il setaccio medianico di Sorcier-Striano, il quale affronta l’ostracismo di editori e lettori pur di descrivere le pulsioni interiori che stimolano l’agire individuale e scandagliare con coraggio le ambiguità che governano la vita. Il suo manoscritto non contemplerà «eroi positivi», non piacerà agli apologeti del «realismo socialista», né sarà il risultato di un «intellettuale organico», pronto a piegare la creatività alle esigenze di un partito. Da vero artista, disegnerà invece monumenti surreali al paesaggio interiore, cercando (come facevano certi scrittori futuristi - Bruno Corra e Mario Carli tra tutti - in sospeso tra lirica e occultismo) uno spiraglio verso l’ultranaturale.

Da lì si potrà ridere dell’affannarsi di tanti scrittori «impegnati», preoccupati di far finta di commuoversi per «poveri, disoccupati, emarginati, classe operaia, reietti del Terzo Mondo, prigionieri politici, morti di fame, bambini senza giochi, vedove, invalidi, baraccati, detenuti, pensionati, vecchi degli ospizi».

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