Cronaca locale

La tre giorni rock che voleva cambiare il mondo

«La musica muore» cantava Juri Camisasca, ed era la metà dei Settanta. Eppure, forse, la musica non era mai stata viva come allora, e mai si era radicata tanto a fondo nelle coscienze delle generazioni che l’ascoltavano e la vivevano. Ne sono certi Davide Giannella e Daniele Salomone, curatori della mostra «Woodstock - The after party», che parte domani in Triennale Bovisa (fino al 20 settembre, ingresso libero, www.triennale.it). «Da quell'indimenticabile ferragosto di Woodstock, esattamente quarant'anni fa, il mondo è cambiato, quasi niente è più come allora. Eppure il senso dell'aggregazione giovanile attorno alla musica si è mantenuto intatto nella sostanza». È curioso che a pronunciare queste parole siano due trentenni, che sarebbero nati oltre dieci anni dopo Woodstock. «È proprio questo il paradosso che ci ha portato a ragionare su Woodstock e sull'impatto che quell’happening, primo di una lunga serie, ha avuto anche su generazioni che quegli anni non li hanno vissuti», spiega Salomone. Che prosegue: «Da due anni lavoriamo a questa esposizione. Siamo andati negli States, abbiamo incontrato persone che hanno partecipato alla realizzazione del festival di Woodstock, poi abbiamo selezionato circa 150 immagini e materiali multimediali forniti da Corbis, relativi non solo a Woodstock, ma a molti altri raduni da allora a oggi, dall'Isola di Wight al Live Aid, per cercare di capire come negli anni successivi il rito collettivo della musica sia stato interpretato e rivisto, fra mode, tendenze e a volte storture». L'idea è quella di riflettere, a quattro decenni di distanza, su una delle manifestazioni-cult del contemporaneo, una di quelle date per cui è d'obbligo parlare di un «prima» e di un «dopo». Dal 15 al 18 agosto del 1969 (ma l'invasione pacifica cominciò ben prima ed ebbe una lunga coda successiva), circa 350mila persone affollarono Bethel, località rurale a due passi da White Lake, nello Stato di New York. Erano i tempi della vita on the road, protagonista quella beat generation immortalata da Kerouac poco più di un decennio prima (il suo Sulla strada era uscito nel '57). Gli anni del «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare». Era nata la Woodstock generation, comunità sovranazionale (e non necessariamente solo giovanile) accomunata dalla condivisione di valori e ideali veicolati attraverso la musica rock. «Quello che vogliamo comunicare - dice Giannella - è il contenuto di rottura di quella manifestazione, che ha segnato un'epoca ma ha costituito anche un modello con cui ogni altro evento, in qualsiasi parte del mondo, si è dovuto e si deve confrontare, rinnegandone o confermandone l'eredità. Non a caso abbiamo scelto il titolo “The after party“, a suggerire la piena attualità del percorso che proponiamo». Lo stesso format della mostra non lascia dubbi: alle fotografie si alternano momenti di intrattenimento e condivisione, come i dj set in programma ogni giovedì alle 19 (si parte stasera con Boosta, attesi fra gli altri Pierpaolo Peroni, Fabio De Luca, Andy, Marco Rigamonti Saturnino, Lele Sacchi e in chiusura Connect Me), o come Generation, rassegna di proiezioni di film che, nell'arco di cinquant'anni, interpretano lo spirito di una generazione ricca di ideali e di contraddizioni, tutti in lingua originale e sottotitolati in italiano. Tra gli appuntamenti più attesi, il 16 luglio alle 21.

30, l'anteprima di Fighting (nelle sale dal 24 luglio), ultima fatica di Dito Montiel che a questo lavoro ha affidato la sua personalissima lettura del disagio metropolitano.

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