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Il trionfo dei Tory: Cameron nuovo re d’Inghilterra

Game over. Fine della partita. David Cameron fa il suo ingresso trionfale a Downing Street, al fianco la moglie Samantha, in dolce attesa. A 43 anni diventa il premier più giovane degli ultimi due secoli. Dopo 13 anni di potere laburista incontrastato, un leader conservatore torna alla guida del Regno Unito. Ma i tempi della larghe maggioranze monocolore sono finiti. I Tory guideranno il Paese in tandem coi liberaldemocratici. L’accordo con il partito di Nick Clegg è cosa fatta. La Gran Bretagna avrà il suo primo governo di coalizione dal dopoguerra. Il New Labour di Tony Blair e Gordon Brown esce di scena dopo aver visto sfumare, a causa di una rivolta interna, un ultimo disperato tentativo di accordo con i liberaldemocratici.
Il cambio della guardia avviene quando Cameron varca finalmente la soglia di Buckingham Palace e risponde alla domanda di rito di Elisabetta II: «Accetta lei di formare il nuovo governo?». Il «sì» del leader è condensato nel suo primo discorso alla nazione da capo del governo. Un manifesto che segna il nuovo corso, quello in cui i tradizionali valori conservatori si sommano a una maggiore «compassione». «Chi può dovrà e chi non può sarà aiutato», dice in una frase dai toni kennediani. Poi ricorda il suo maggiore impegno: restituire agli elettori fiducia nella politica oltre che dare un governo stabile al Paese. Ma mette in guardia gli inglesi: saranno tempi duri, in cui sarà necessario prendere decisioni difficili. Il nuovo premier invita tutti alla «responsabilità», perché il «cambiamento» si raggiunge solo se ognuno fa la sua parte in una società «più responsabile», che non si chieda cosa ha ma cosa può fare. In poche battute, a cinque anni dalla sua candidatura a leader dei Tory, Cameron condensa il senso della svolta verso la quale si avvia il Paese e verso la quale lui ha già traghettato il suo partito.
Poco prima era toccato a Gordon Brown congedarsi quasi commosso, alle spalle il 10 di Downing Street che in questi giorni ha presidiato senza sosta e al fianco la moglie Sarah. Un discorso toccante, il grazie per il «privilegio» di aver governato il Paese in questi tre anni, un patriottico saluto alle forze armate - i soldati «morti con onore» - e un riferimento al ritorno al suo primo e preferito lavoro, quello di marito e padre. Infine l’ultimo viaggio alla volta di Buckingham Palace, mano nella mano coi suoi due figli, per comunicare alla regina - come prevede il rigido protocollo - che non avrebbe più guidato il governo del Paese e dare il via libero per un nuovo incarico al leader dei Tory.
«È l’ora delle decisioni» aveva avvisato in mattinata Cameron. Un modo per dire ai liberali che il tempo stava per scadere. E a fischiare la fine sono state le indiscrezioni trapelate nel pomeriggio. I negoziati tra Labour e Libdem sono falliti: molti laburisti si sono opposti alla nascita di un «governo dei perdenti», un esecutivo che gli elettori non avrebbero digerito, che per arrivare a una risicata maggioranza assoluta (328, appena due seggi sopra la metà del totale dei parlamentari) - avrebbe dovuto assoldare i nazionalisti scozzesi, gallesi e nordirlandesi dando vita a una coalizione «arcobaleno» di difficile sopravvivenza. La speranza dei deputati che hanno mandato all’aria l’accordo è che il governo di «lacrime e sangue» che Tory e Libdem si preparano a varare duri poco e lasci il tempo al Labour per riorganizzarsi sotto un nuovo leader e consenta di ripartire nuovamente all’attacco in tempi migliori.
Così, nell’arco di poche ore, i negoziati con i conservatori sono diventati l’unica strada percorribile per Nick Clegg, consapevole anche lui di non poter «tradire» l’indicazione degli elettori. Le trattative sono andate avanti fino a tarda sera. Clegg ha dovuto convincere i suoi della bontà dell’offerta dei Tory. Ma alla fine la partita si è chiusa e i Libdem possono ritenersi soddisfatti. Il gioco su due tavoli ha permesso alla formazione diventata ago della bilancia di incassare il referendum sul sistema elettorale e la concreta possibilità che venga introdotto il cosiddetto «voto alternativo», una forma di proporzionale che prevede che i candidati vengano indicati dagli elettori in ordine di preferenza e che garantisce la vittoria a chi supera il 50% dei consensi. In cambio Clegg pare abbia dovuto cedere sull’improbabile amnistia per gli immigrati illegali che era nel programma dei Libdem.
Cala così il sipario sul bipolarismo e probabilmente anche sul sistema maggioritario. La decisione ultima spetterà agli inglesi. Ma è evidente ormai che queste sono le elezioni della svolta per il Regno Unito, uno spartiacque rispetto alle solide tradizioni politiche ed elettorali che fino a ieri sembravano intramontabili Oltremanica. L’Inghilterra da oggi ha un governo. Se sarà «solido e forte» si vedrà. L’appuntamento è fissato per il 25, giorno del Queen’s Speech, della presentazione del programma di governo.

Da qui ad allora Elisabetta II potrà tornare a dormire sonni più tranquilli.

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