Umarov, l’emiro del Caucaso che si ispira a Osama

La guerra infinita è di nuovo a Mosca. Ha ancora il volto di un kamikaze. Riesplode ancora una volta tra una folla di viaggiatori indifesi. Ma questa volta non colpisce un teatro, un treno o una stazione del metro. Questa volta la strage, messa a segno per la prima volta all'interno di un aeroporto della capitale russa, si presenta come una sanguinosa e crudele beffa alle forze di sicurezza, come l'ennesimo sberleffo alle illusioni di chi dava per sconfitto il terrorismo ceceno.

A meno di un anno dal duplice attentato alla metropolitana di Mosca del 31 marzo 2010 il presidente Dmitri Medvedev e il premier Vladimir Putin si ritrovano a fronteggiare lo stesso scenario e, probabilmente, lo stesso mandante. Tutto fa pensare all'ennesimo colpo dei militanti ceceni, all'ennesima azione ordinata da Doku Umarov l'ultimo, inafferrabile comandante storico della guerriglia cecena. La storia personale di questo invulnerabile e spietato leader è l'incarnazione di un insurrezione iniziata nel 1994 come rivolta etnico nazionalista e trasformatasi in terrorismo nazional-islamico grazie ai legami con i gruppi della lotta armata qaidista.

Nel gennaio 1994, quando chi scrive lo incrocia nei sotterranei di una Grozny distrutta dai bombardamenti, Doku Umarov è un comandante senza Dio e senza fede, un giovane ingegnere ribelle deciso a battersi per l'indipendenza e per vendicare le deportazioni di un popolo ceceno accusato da Stalin di collaborazionismo con il Terzo Reich. Sedici anni di guerra spietata trasformano quel giovane comandante, incapace di pregare Allah, nell' "emiro" autoproclamato del cosiddetto stato islamico di Cecenia, in un fanatico terrorista temuto e osteggiato persino da molti ex compagni di lotta. A dargli man forte sono rimasti in pochi. Secondo alcune stime l'insurrezione cecena non conta su più di qualche centinaio di attivisti. E una buona parte di costoro avrebbe persino smesso di prendere ordini da Umarov per seguire il suo giovane braccio destro Aslambek Vadalo. L' "emiro" Umarov resta comunque l'incarnazione perfetta di un'insurrezione contaminata progressivamente dal richiamo terrorista di Al Qaida.

Un percorso condiviso da tutti i principali capi militari ceceni, a cominciare da Shamil Basayev, il comandante simbolo ucciso dai russi nel 2006. Eppure nonostante queste contaminazioni, nonostante la predicazione e i finanziamenti del comandante saudita Ibn Al Khattab arrivato in Cecenia nel 1995 alla testa di un gruppo di volontari arabi e avvelenato dai servizi segreti di russi nel 2002, la rivolta cecena non diventa mai completamente organica ad Al Qaida. Molti ceceni passano per i campi d'addestramento in Afghanistan e Pakistan, ma il quartier generale dell'insurrezione continua ad avere come unico nemico la nazione russa. A differenza degli altri terroristi islamici i militanti ceceni non colpiscono l'America o le altre nazioni occidentali e privilegiano la cattura di ostaggi alla strage indiscriminata. Dalla presa dell'ospedale di Dudennovsk nel 1995 fino al sequestro dell'intero villaggio di Pervomayskoye nel 1996, dalla stragi del 2002 nel teatro moscovita di Dubrovka nel 2002 fino a quella del 2004 nella scuola di Beslan l'obbiettivo del terrorismo ceceno è sempre mettere con le spalle al muro Mosca per costringerla alla trattativa.

La strage e il massacro, per quanto ugualmente orrendi, sono solo l'epilogo obbligato, la punizione per uno nemico che non si piega. Anche l'impiego dei kamikaze segue logiche diverse, estranee a quelle di Al Qaida. L'attentatore suicida nell'iconografia stragista cecena è quasi sempre una donna figlia, moglie o madre di un caduto. E anche il terreno di latitanza è spesso diverso.

Se i terroristi arabi braccati puntano verso il Waziristan pakistano i ceceni trovano talvolta ospitalità nei villaggi dell'Anatolia turca, in quelle vecchie roccaforti del nazionalismo dei lupi grigi toccate oggi dal contagio islamico. Un nazionalismo che li considera fratelli in quanto figli un Caucaso culla mitologica e primigenia della Grande Turchia e del suo popolo.

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