"Venezia ’68", che errore lasciare la Mostra ai registi

Presentato il documentario di Antonello Sarno sulla contestazione al Lido appoggiata da alcuni cineasti

"Venezia ’68", che errore lasciare la Mostra ai registi

nostro inviato a Venezia

Cesare Zavattini venne portato fuori dalla polizia compresa la sedia su cui era seduto e annesso basco sulla testa, Citto Maselli fu preso per le braccia e per le gambe... «Il cinema è del popolo» urlavano i contestatori, ma i «compagni» gondolieri, i ristoratori e i negozianti che del popolo facevano parte, inveivano contro registi e sceneggiatori «uniti nella lotta» e in più occasioni ruvide mani proletarie si abbatterono su teneri volti intellettuali. Il ’68 alla Mostra del cinema di Venezia fu questa cosa qui, una via di mezzo fra la macchietta e lo psicodramma, dove che cosa e perché si contestasse non era del tutto chiaro, come quarant’anni dopo molti dei protagonisti di allora ammettono, con il cinismo senile che nel tempo ha preso il posto dell’infantilismo giovanile. Era più che altro una sorta di sindrome mimetica, scopiazzatura, per dirla più chiaramente. C’era stato il Joli Mai a Parigi, il Festival di Cannes aveva visto la giuria dimettersi e il Palais du Cinema chiudere i battenti. «Loro sì e noi no?» si dicevano i nostri rivoluzionari pronti a tutto ma capaci di niente. E infatti l’obiettivo era soltanto quello di far saltare la serata inaugurale, non si rendevano nemmeno conto del disastro che stavano per provocare.
L’anno della contestazione, Venezia diede il Leone d’oro ad Artisti sotto la tenda del circo perplessi di Alexander Kluge, il Premio della giuria a Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene, la Coppa Volpi per la migliore attrice a Laura Betti per Teorema di Pier Paolo Pasolini. C’erano in gara Partner di Bertolucci, Tell me lies di Peter Brook, Galileo della Cavani, Faces di Cassavetes, e ancora film di Miklos Jancsó, Maurice Pialat, Dino Risi... Il «reazionario» professor Chiarini quell’anno aveva messo su una mostra che nel successivo decennio militante e democratico, progressista e antimeritocratico, i contestatori non sarebbero nemmeno stati in grado di immaginare. Venezia morì allora: per stupidità, invidia, velleitarismi piccolo-borghesi travestiti da nobili pulsioni libertarie e, va da sé, antifasciste.
Presentato ieri fuori concorso, il documentario di Antonello Sarno Venezia '68, realizzato in collaborazione con Steve Della Casa, è un gioiellino satirico che può riassumersi in due frasi. La prima, parafrasando il detto che «la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari», fa capire come, in mano ai registi e agli sceneggiatori il cinema sprofondi nel blabla politichese e inconsistente. La seconda, di Ennio Flaiano, ammonisce che «la rivoluzione non è la diarrea», e infatti da allora e per molto, troppo tempo, il reducismo celebrò sé stesso, illudendosi di aver vinto lì dove si era semplicemente limitato a un lavoro da Attila.
Nel bel numero speciale del mensile L’Europeo dedicato alla Mostra, la cronaca di quei giorni, affidata alle penna di Lietta Tornabuoni, racconta un clima surreale, dove si vuole fare la rivoluzione, ma ognuno ha qualche impegno improrogabile: un film da girare, un weekend da consumare, un’abbronzatura da mantenere. E ha ragione Tullio Kezich, decano dei critici cinematografici, quando oggi nota che quello fu «uno dei tanti episodi di autocannibalismo che la sinistra italiana continua a perpetrare», per niente «una vittoria della democrazia, ma una sconfitta ingloriosa, non più di 48 ore di invettive scalmanante, striscioni, bandiere rosse».
Svagati e scetticamente malinconici, molti dei protagonisti di allora dicono adesso che sì, sbagliarono, eccedettero, giocarono, si presero stupidamente sul serio... In quegli stessi giorni, i carri armati sovietici schiacciavano la «primavera di Praga», ma nessun documento di condanna dell’invasione o di solidarietà con il popolo cecoslovacco venne dai contestatori, affratellati nel sogno comunista e troppo impegnati a voler far fuori un anziano intellettuale socialista come Chiarini, di colpo retrocesso al ruolo di avanzo del Ventennio fascista...

Pier Paolo Pasolini, stretto fra il ricatto della solidarietà di classe e il fatto di avere un film in concorso soffrì di nervi e si barcamenò come peggio non poteva... Non fu un bello spettacolo, nessuno ci fece una gran figura.
Venezia '68 andrebbe proiettato ogni anno. Così, tanto per rinfrescarsi periodicamente la memoria.

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