Venezuela alle urne nel caos L’opposizione boicotta Chavez

I principali partiti si ritirano dal voto di oggi: accusano il presidente amico di Castro di favorire la coalizione al potere

Roberto Fabbri

L’opposizione a Hugo Chavez boicotta le urne, il presidente filocubano accusa gli Stati Uniti di sabotaggio elettorale: è un voto ad altissima tensione quello di oggi in Venezuela, chiamato a rinnovare il Parlamento. In palio ci sono i radicali cambiamenti istituzionali che Chavez vuole imporre al Paese (primo fra tutti la possibilità di farsi rieleggere presidente per la terza volta) e per i quali ha bisogno di una maggioranza di due terzi dei deputati. Sullo sfondo i pessimi rapporti del regime populista di sinistra con Washington e una preoccupante tendenza involutiva del regime stesso verso una forma «aggiornata» di castrismo.
I principali partiti dell’opposizione si sono ritirati dalla competizione denunciando gravi irregolarità e accusando il Consiglio nazionale elettorale di favoritismo verso i partiti di governo (attualmente la coalizione che sostiene Chavez ha un vantaggio di soli sette seggi al Parlamento di Caracas): non parteciperanno pertanto alle elezioni Acciòn democratica (Ad, di centrosinistra, dominatore per oltre sessant’anni della vita politica venezuelana), i socialcristiani del Copei e altre formazioni minori come Proyecto Venezuela e Primero justicia.
L’opposizione ha scelto dunque la via dell’Aventino, con tutti i rischi a questa collegati, anche se non è improbabile che diversi candidati, nonostante le indicazioni dei rispettivi partiti, sceglieranno di candidarsi ugualmente. Henry Ramos, leader di Ad, il segretario del Copei Cesar Perez e il capo di Primero justicia Julio Borges hanno fatto appello agli osservatori internazionali (ce ne sono dell’Unione europea e dell’Oas, l’organizzazione degli Stati americani) perché impediscano a Chavez di truccare il voto a suo vantaggio.
Chavez, che da quando è stato eletto presidente nel 1998 ha sempre trattato duramente l’opposizione, reagisce con asprezza. Nei suoi comizi ha attaccato pesantemente i «sabotatori», categoria nella quale accomuna i partiti del boicottaggio (che secondo lui si tirano indietro perché sicuri di perdere) e gli Stati Uniti. Il presidente ha detto che i servizi di sicurezza sono allertati per reagire a eventuali boicottaggi violenti del voto, ai quali gruppi dell’opposizione sarebbero a suo dire incoraggiati da Washington. Il portavoce del Dipartimento di Stato Tom Casey ha smentito ogni accusa, ma Chavez insiste e afferma che sarebbero stati sequestrati esplosivi e bottiglie molotov.
Rimane l’incognita dell’effettivo livello di astensione dal voto che si riscontrerà oggi. Alcune stime indicano che non solo i simpatizzanti dell’opposizione, ma anche molti di quelli di Chavez potrebbero scegliere di non votare, i secondi perché persuasi che a questo punto la partita sia già vinta: un analista indipendente venezuelano ha stimato che potrebbero andare alle urne solo 15 elettori su cento. Ma anche in queste condizioni Chavez otterrebbe comodamente fino al 90 per cento dei seggi. Da un simile Parlamento alla cubana sarebbe a quel punto un giochetto ottenere il sì alla riforma costituzionale che permetterebbe all’amico di Fidel di correre per un terzo mandato nel 2012.
Nel frattempo, Hugo Chavez fa ben poco per smentire chi lo dipinge come un pericoloso agitatore antiamericano.

Ieri, al termine di un incontro a Caracas con una delegazione iraniana, il presidente del Venezuela ha affermato che i due Paesi sono «fratelli nella lotta all’imperialismo e questa fratellanza fa parte del desiderio di un mondo di uguali». Chavez ha espresso solidarietà all’Iran per «le aggressioni imperialiste lanciate dagli Stati Uniti» e ha detto che l’anno prossimo si recherà a Teheran «per unire gli sforzi contro l’imperialismo».

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