«Buttati dalla scogliera e fatti le ali mentre cadi». Ancor oggi, a 91 anni suonati da qualche giorno, è questo il motto di Ray Bradbury, uno dei giganti della letteratura del 900, troppo spesso ricordato solo come scrittore di genere. Il genere sarebbe la fantascienza, che proprio il romanzo più famoso di Bradbury, Fahrenheit 451, ha contribuito a portare fuori dal «ghetto». È questa la tesi dellultima biografia dedicata allo scrittore di Waukegan, Illinois, proprio dallUniversità del suo stato: Becoming Ray Bradbury (University of Illinois Press, pagg. 360, dollari 34,95), uscita da pochi giorni negli Stati Uniti.
Senza quella storia - cerca di dimostrare nel libro il professor Jonathan Eller, uno dei più accreditati biografi di Bradbury - di libri bruciati e poi salvati a memoria da unumanità che nella letteratura trova la sua salvezza estetica e morale, senza quella vicenda che nel tempo è diventata film (il più famoso quello diretto da François Truffaut nel 1966, il più atteso quello previsto per il 2012 con la regia di Frank Darabont, per il quale si era parlato di Tom Hanks nel ruolo del protagonista), pièce teatrali, infinita citazione, la fantascienza non avrebbe mai fatto la fortuna di sceneggiatori, autori, produttori cinematografici e tv dando il cambio al western e al noir come blockbuster di Hollywood dagli anni 50 in poi.
La deriva di una società verso il controllo delle menti con una formula narrativa tra il surreale e lo speculativo nacque con un racconto breve che soltanto dopo divenne il celebre romanzo: The Fireman. Comparve esattamente 60 anni fa sulla rivista Galaxy Science Fiction ed è stato appena ripubblicato in Era una gioia appiccare il fuoco. I racconti di Fahrenheit 451 (sempre a cura di Eller, Oscar Mondadori, pagg. 366, euro 10,50). Che lintento fosse la stigmatizzazione del maccartismo o la sconcertante profezia del nostro presente, lattualità della visione, i ruoli di delazione, censura, consumo di massa, le degenerazioni dellinformazione rimangono scioccanti, anche se «la fantascienza - dice lui - è larte dellovvio. Bastava guardare la prima per capire che un giorno le auto avrebbero rovinato il mondo».
Per spiegare come la storia di Guy Montag, vigile del fuoco incaricato di bruciare i libri, pericolosi disturbatori della quiete televisiva, e della sua infrazione fatale, ovvero la lettura di un frammento di volume e poi della fuga per la creazione di un «mondo nuovo» basato sulla memoria letteraria, abbia cambiato la letteratura, Eller parte da periodi poco esplorati della vita di Bradbury: adolescenza e giovinezza. Occuparsi di fantascienza negli anni Trenta, essere iscritto alla Los Angeles Science Fiction League, come fece Bradbury, significa essere poco più che un nerd. La maggior gloria era la pubblicazione in prozines dai nomi improbabili come Astonishing Stories and Thrilling Wonder, che pagavano i collaboratori un penny a parola. Ma, racconta Eller, in Bradbury bruciava un presentimento: «Da quando avevo dodici anni volevo essere diverso. Da chiunque altro». Ebbe fortuna: era un provinciale dal talento irrefrenabile, ma sarebbe rimasto tagliato fuori dalla storia se non avesse avuto amici come Robert Heinlein e critici-mentori come Christopher Isherwood e Somerset Maugham.
E forse il ghetto da cui ha tirato fuori la fantascienza limita ancora il suo nome. Proprio come gli accadde nel 1951 quando, a un party in onore di Balanchine, qualcuno gli chiese: «E lei di che cosa scrive? Ah già, quella roba tipo Buck Rogers e Flash Gordon. La fantascienza». «Cercai di prenderla con umorismo. Ma alla fine - racconta nella biografia di Eller - è il genere di snobismo contro il quale ho dovuto combattere per tutta la vita». Lo dimostra il fatto che, nonostante venga «recuperato» di continuo, comè appena accaduto con il suo unico libro per ragazzi, Accendi la notte (Gallucci, pagg. 36, euro 14,50, trad.
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