«Il vero orrore sono quei processi con sentenze di morte già scritte»

Il regista Pasquale Squitieri non ha dubbi: ciò che sdegna è vedere un imputato, come Saddam, entrare in aula già condannato

«L’orrore non è quello di Piazzale Loreto e nemmeno quello dell’impiccagione di Saddam. L’orrore è nel voler spacciare per atti di giustizia quelli che invece sono soltanto dei crimini. Perché tali sono tutti i processi in cui la sentenza di morte sia già stata scritta». Chiedi al regista Pasquale Squitieri (che alla fine di Benito Mussolini ha dedicato due importanti lavori, Claretta al cinema e Piazzale Loreto in teatro) un parere sulle polemiche scoppiate dopo l’impiccagione del dittatore iracheno e una valutazione sull’orrore che lega due episodi così lontani nel tempo. Glielo chiedi e vieni travolto da un fiume in piena. Che in fondo gli assomiglia molto, fatto com’è di concetti forti, appassionati, spesso «ringhiati», ma mai banali e scontati.
Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha parlato di «orrore» per Piazzale Loreto e di «vergogna» per Saddam; Romano Prodi ha detto invece che i due episodi sono storicamente troppo lontani per essere giudicati su uno stesso piano...
«Semmai la storia ci insegna che è sempre stato così. Furono episodi di orrore, per lo stesso motivo, la morte di Socrate, così come il rogo della Pulzella d’Orléans o quello di Giordano Bruno. Quello è l’orrore vero, cioè il processo con la sentenza già scritta. Che Mussolini, come tutti i dittatori, potesse finire ucciso era un’eventualità plausibile, e del resto aveva subito tanti attentati, così come in tempi più recenti ne ha avuti Fidel Castro. Ma l’orrore, ripeto, il crimine più grande, è quando si imbastisce un processo come quello a Luigi XVI e Maria Antonietta, con gli imputati che entrano in aula già condannati perché è il regicidio, già deciso, che va legittimato. E con esso il nuovo potere».
In che senso?
«Nel senso che Robespierre sapeva benissimo che se Luigi XVI fosse stato assolto, lui e i suoi sarebbero passati per calunniatori e quindi messi in discussione. L’uomo invece deve credere nella giustizia e sa che essa prevede la presunzione d’innocenza fino a sentenza passata in giudicato così come l’assoluzione. Ma se l’imputato viene assolto, allora vuol dire che il castello di accuse era un castello di calunnie e in quel caso ci si può rivalere. Quando invece l’uomo si accorge che la giustizia fa processi come quello al nazista Eichman, con l’imputato già condannato, allora la giustizia serve solo a legittimare il potere».
Anche la «giustizia» di piazzale Loreto?
«Certo, come fu per Robespierre e Danton facendo rotolare le teste di Luigi XVI e Maria Antonietta, così l’esibizione dei corpi di Mussolini e della Petacci doveva essere la legittimazione della Resistenza. E lo scempio dei cadaveri sarebbe servito a dare una nuova verginità proprio a quel popolo italiano che per tanti anni aveva osannato il Duce. Pensiamoci: il comandante Valerio non aveva nemmeno finito di leggere la sentenza, non a caso “nel nome del popolo italiano”, che i mitra erano già spianati».
Quindi dissente anche dal senatore Violante, che riferendosi all’uccisione di Mussolini l’ha definita «un atto di guerra»?
«Quello di Violante è un sofisma, per non dire di peggio. Perché se è vero che ciò che compie un tribunale militare nell’esercizio delle sue funzioni è un atto di guerra, è altrettanto vero che da quello stesso tribunale si può anche essere assolti».
Venendo all’esecuzione di Saddam, al di là di come uno la pensi sulla pena di morte, è un fatto che quelle immagini suscitino orrore...
«Il problema, ripeto, è sempre lo stesso. Ciò che dovrebbe fare orrore non è la morte in sé e non lo sono nemmeno i boia che hanno impiccato Saddam, dal momento che loro erano gli stessi assassini che abbiamo visto tagliare la gola a tanti ostaggi. Loro, quindi, non mi interessano. Non mi fanno tanto orrore quanto i giudici che quel crimine lo hanno già commesso».
Pensa che sarebbe possibile fare un film sul processo a Saddam e sulla sua fine, considerato che tra tv e internet si è ormai già visto tutto, impiccagione compresa?
«Ciò che abbiamo visto sono soltanto immagini e potrebbero anche essere false. Così come abbiamo visto migliaia di ore di immagini sul Vietnam, ma abbiamo dovuto attendere un film come Platoon per capire che cosa veramente è stato quel conflitto. Perché quella pellicola ha interiorizzato il dramma della guerra, facendoci capire che cosa pensavano davvero i soldati. Soltanto così il cinema diventa letteratura, diventa poesia.

Restando ai dittatori, hanno voluto fare qualcosa di analogo anche con l’ultimo film su Hitler, cercando di spiegare chi davvero fosse, come la pensasse...»
E ci sono riusciti?
«Non lo so, ma del resto non è da tutti: uno nasce William Shakespeare e uno nasce Edoardo Scarpetta».

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