L'unico che non ha niente da dire è Pinello. Lui ha trovato la posizione giusta, acciambellato su una piccola coperta tra un sedile e l'altro dello scompartimento: l'ideale per un cagnolino di piccole dimensioni come lui, un batuffolino nero che dà proprio l'impressione di essere simpatico e vivace quando è sveglio, ma ora è proprio stanco e vuole solo dormirsela.
Beato lui, vien da dire. Perché quando tutti i giorni ti svegli a Genova alle cinque o giù di lì per essere al lavoro a Milano in mattinata, vorresti davvero trasformarti in un coccolatissimo cane rannicchiato al calduccio. Ben più infame il destino di Cristiana - che di Pinello è la padrona e ogni tanto se lo porta nello studio pubblicitario dove lavora - e di tutti gli altri pendolari della linea Genova-Milano. Sui treni sono abituati a vederne di tutti i colori: ritardi di svariate entità, disinformazioni assortite, e non mancano i più bizzarri disagi: dal puzzo dei freni difettosi che le prese d'aria diffondono di tanto in tanto negli scompartimenti alla consueta morìa estiva dei locomotori (un appuntamento fisso), fino alla beffa dell'aria condizionata che, magari in pieno luglio, decide di non funzionare. E peccato che i finestrini siano chiusi a chiave, «perché tanto c'è l'aria condizionata».
Stazione Principe, ore 6 e 44 di un qualunque mercoledì. Un viaggio di andata Genova-Milano è la migliore occasione per i pendolari di raccontare quelle cinque, sei ore al giorno trascorse sui treni. Un poeta in vena di banalità parlerebbe di una vita parallela, come i binari. «Qui nascono amicizie anche profonde, forse per un senso di solidarietà». Priscilla è una veterana dei genovesi che fanno la spola con Milano, con i suoi quindici anni al servizio del Centro turistico francese della metropoli lombarda. «Non ho mai voluto lasciare la mia Genova - spiega - perché ho pur sempre bisogno di un "campo base". Di per sé, il viaggio quotidiano è molto bello, soprattutto per motivi di relazione umana: negli anni siamo diventati una bella compagnia». Che ogni anno non manca di organizzare tra gli scompartimenti un singolare «cenone» di Natale, con piatti già pronti, panettone e spumante. Un happening che serve a dimenticare ed esorcizzare il vero significato della dura vita da pendolare. Significato che si può tradurre in brevissima sintesi: ritardi, ritardi e ancora ritardi.
C'è chi un bel giorno si è messo di buzzo buono, stufo com'era di ricevere da Trenitalia giustificazioni troppo vaghe su disguidi e ritardi degli intercity sulla linea Genova-Milano. Enrico Pallavicini ha fondato un comitato di pendolari e dal 2002 si occupa di annotare scrupolosamente tutti gli «sforamenti» sulla tabella di marcia, di segnalarli alle Ferrovie e di proporre soluzioni agli innumerevoli problemi, come ad esempio piccole modifiche agli orari e alle percorrenze. «Il vero problema - spiega Pallavicini - è che la linea Genova-Pavia-Milano è congestionata, soprattutto nel tratto lombardo. Treni intercity, interregionali e regionali che si imbottigliano sullo stesso binario: basta un minimo ritardo e salta all'aria tutto il sistema. Lo stesso problema, da non sottovalutare, si ripete sul nodo di Genova». Ecco allora la situazione desolante fotografata nei «report» mensili del comitato pendolari, dai quali si evince che, al momento di salire su uno dei treni presi in esame, è opportuno preventivare dieci minuti di ritardo «fisiologici»», per poi aggiungerne eventualmente altri: bisogna essere pronti a tutto su una linea vecchia di cento e passa anni, con una stazione come Pavia dove il capostazione dà ancora il via ai convogli con paletta e fischietto e gli scambi funzionano ancora manualmente. E quando il percorso risulta miracolosamente privo di intoppi, ci sono sempre i congestionatissimi nodi di Milano e Genova, che possono costringere a soste-record (a Genova in galleria, tra Principe e Brignole) proprio a un passo dal cartellino da timbrare o dal tepore domestico. «Ben venga una linea nuova come il Terzo Valico - s'infervora Pallavicini - per bypassare Genova. Ma sarebbe poco utile, senza un'analoga opera che fluidifichi il traffico in Lombardia».
Ma al di là delle questioni tecniche, i pendolari sono uomini e donne, e a volte il disagio si traduce in sconforto. «La vera frustrazione? Tutti i minuti della nostra vita rubatici dalle Ferrovie: dieci un giorno, venti l'altro, a volte anche novanta, mentre al lavoro o a casa nostra c'è una vita che ci aspetta: pretendere puntualità è così fuori luogo?». Cristiana riassume così la rabbia sua e dei suoi compagni di viaggio, ricordando che «se arrivo tardi al lavoro, il tempo perduto lo recupero a fine giornata e sono costretta a prendere il treno dopo, rientrando a casa in tarda serata». E finché si tratta di un lavoro fisso, pazienza. Ma ormai sono sempre più frequenti i casi di giovani con impieghi quantomeno precari costretti loro malgrado a questo tipo di pendolarismo, «e in un call center o posti simili, al secondo o terzo ritardo ci mettono poco a licenziarti». «Io ho un figlio di quattro anni - racconta Flavia, bella segretaria divisa tra Liguria e Lombardia - che spesso si addormenta prima che io riesca ad arrivare a Genova, e mi dice spesso: "Mamma, ricordati di tornare a casa».
Quando l'intercity entra a Milano Centrale, ci si guarda negli occhi con l'espressione di chi l'ha scampata bella. «Soltanto» dieci minuti di ritardo: la giornata è salva. Se poi San Pendolare intercederà anche per il viaggio di ritorno, sarà festa grande.
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