Il violino rifugiato, di Gualtiero Morpurgo (Mursia, pagg. 276, euro 17) si addice molto bene al «giorno della memoria», il 27 gennaio: il giorno in cui nel 1945, fuggiti gli aguzzini nazisti, i sopravvissuti di Auschwitz emersero, scheletrici e inebetiti, da un incubo spaventoso. Morpurgo racconta la sua storia di giovane ingegnere ebreo che, dopo larmistizio dell8 settembre 1943 e dopo linstaurazione nel Nord Italia della repubblica di Salò serva di Hitler, cercò salvezza in Svizzera. E in Svizzera la trovò, pur tra difficoltà, traversie, rudezze e anche bassezze: non la trovò invece sua madre che cercò anche lei di varcare il confine, e che fu tradita da due italiani che avevano promesso di scortarla e che invece la denunciarono per incassare le cinquemila lire di premio - equivalenti a suppergiù 250 euro - che il governo repubblichino pagava per ogni ebreo catturato (questo delle delazioni è forse il capitolo più ripugnante della vita - e della morte - dallora). La sventurata signora fu portata proprio ad Auschwitz, e non ne tornò mai più.
Gualtiero Morpurgo era uno dei tanti ebrei che in Italia, anche durante gli anni del fascismo «prima maniera», non avevano mai avvertito alcuna diversità dai concittadini cattolici, né mai subito ostilità. Esisteva, è vero, una frangia marginale del regime che aveva preceduto o seguito le ossessioni antisemite del nazismo: ma non sembrò molto influente né pericolosa fino a quando Mussolini, con le infami leggi razziali del 1938, saccodò allinvasato Hitler. Morpurgo, classe 1913, ufficiale di complemento - e orgoglioso di esserlo - racconta: «A metà del 1939, mi arrivò una busta gialla. Dentro cera un foglio e in poche righe si comunicava che mi era stata ritirata la qualifica di ufficiale e che mi dovevo considerare espulso dallUnione Nazionale Ufficiali in congedo. E tutto ciò in base a una legge firmata da Sua Maestà».
Tuttavia poté lavorare nei Cantieri navali di Genova, e non perse il posto dopo che una retata della polizia laveva portato, con qualche decina di correligionari, nel carcere di Marassi. Rilasciato, riprese la sua attività. In quellItalia con tanti vili, cerano uomini dalla schiena diritta. Mentre era al lavoro una telefonata convocò Morpurgo nellufficio dellingegnere Rocco Piaggio che aveva assunto il controllo dei cantieri. «È lì alto, imponente, vestito di nero, in piedi dietro la scrivania. Mi fissa intensamente mentre mi stringe la mano con vigore. Sono il giovane ingegnere davanti al grande industriale genovese, ma non provo più né timore né timidezza... Ben tornato ingegnere, ho saputo che nei giorni scorsi lei ha avuto delle noie - mi dà del lei e non del voi come prescritto - ora spero che tutto sia finito e desidero che lei torni tranquillo al lavoro».
Poi sopraggiunse la bufera della guerra, della sconfitta, delloccupazione tedesca. Lingegner Morpurgo ebbe la buona ventura di poter raggiungere la non calorosa ma sicura Svizzera. Portandovi il fido violino, opera dun liutaio milanese che più milanese non si può, Domenico Brambilla fecit a porta Ticinese nel 1779. Appassionatissimo di musica e buon violinista, Gualtiero Morpurgo riuscì in terra elvetica a organizzare concerti: e dunque la storia di questo perseguitato sintreccia alla storia del suo violino, come lui rifugiato. Uomo di multiforme ingegno e di varie esperienze, Gualtiero Morpurgo ha soggiornato alcuni anni, per motivi professionali, in Cile: e lì lho conosciuto, durante i miei reportage per il Corriere della Sera, perché, insieme ai suoi impegni ingegneristici, sera assunto anche lincarico di direttore dellagenzia Ansa. Incarico che mantenne fino al 1971, quando rientrò in Italia. Questo novantenne vivace e, nonostante tutto, fiducioso (con juicio) nelle riserve di bontà del mondo in cui viviamo, ha una eccellente e se del caso divertente memoria.
Domani, 27 gennaio, alla «Libreria Mursia» di via Galvani 24, a Milano, Mario Cervi presenterà, con lautore Gualtiero Morpurgo, il libro Il violino rifugiato.
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