Sibila. La voce baritonale di Vincenzo Visco si trasforma in una lama tagliente. A fatica il viceministro dell’Economia argina la rabbia contro il comandante generale della Guardia di finanza Roberto Speciale, dall’altra parte del telefono. Quello Speciale reo di aver più volte disobbedito agli ordini di mandare via i comandanti di Milano, ordini ripetuti e impartiti dal «super generale» Visco. È il 17 luglio del 2006, passate da poco le 9.26. E il viceministro non ci vede più. Accuse e minacce. Senza sapere che la conversazione telefonica avviene di fronte a ben due testimoni, ufficiali di prestigio delle Fiamme gialle, che osservano, sentono, assistono. Visco non si ferma. Accusa esplicitamente Speciale «di non aver rispettato alcuna regola deontologica non avendo dato esecuzione istantenea (sic!) a quanto ordinato». Ovvero rimuovere tutti a Milano ad eccezione del comandante interregionale.
Ancora, impone a Speciale di riunirsi «subito con i generali Pappa e Favaro per dare a quegli ordini esecuzione immediata e di concordare con loro una risposta da dare alla Procura di Milano». Infine la (velata) minaccia: «Se non avessi ottemperato - parole di Speciale - a queste direttive mi disse che erano chiare le conseguenze cui sarei andato incontro». Bisognava obbedire alle disposizioni, anche se andavano contro i regolamenti?
Di lì a poco Speciale prenderà un aereo militare atterrando a Linate. Deve essere sentito alle 16.10 dall’avvocato generale della procura Manuela Romei Pasetti. Che vuole sapere cosa sta succedendo visto che i magistrati rischiano di ritrovarsi decapitata la Finanza a Milano. E Speciale riferisce anche l’incredibile conversazione avuta nella mattinata proprio con l’autorità politica. Oggi la posizione di quei due testimoni è fondamentale nella ricostruzione. Quei due ufficiali infatti vengono indicati ai magistrati dallo stesso comandante: «L’intera conversazione telefonica è avvenuta alla presenza del colonnello Carbone e del maggiore Cosentino». Dal comando generale filtra l’indiscrezione che i due ufficiali abbiano distintamente udito le parole del viceministro, i suoi ordini, i suoi avvertimenti, grazie al viva voce dell’apparecchio telefonico utilizzato dal comandante Speciale. Carbone e Consentino non sono stati sentiti da alcuna autorità giudiziaria sugli ordini di Visco. Ma il fatto che Speciale li indichi, lui per primo, come testi, fa presupporre che la ricostruzione del comandante generale sia vera. E questo porta a rileggere e con attenzione anche la parte successiva dell’interrogatorio. Quando Speciale mette a verbale la risposta che diede a Visco. Ovvero che «l’osservanza delle regole è stata da sempre il faro della mia vita e di non poter assecondare pertanto queste sue ultime richieste».
Significa semplicemente che Visco aveva ordinato a Speciale, minacciandolo, di agire contro le regole. E infatti se avesse dato «esecuzione immediata» ai trasferimenti sarebbe fuori, al di là delle regole. Per questo Speciale mette sul tavolo l’ultima carta e minaccia le dimissioni. Di fronte a due testimoni. Testi anch’essi ufficiali e conosciuti nella Gdf per la serietà e gli encomi ricevuti nella loro carriera. Carbone, tra l’altro, era stato fino a pochi mesi prima comandante provinciale a Milano. Carbone e Cosentino ascoltano quindi senza fiatare. Si trovano di fronte a uno scontro istituzionale tra il loro numero uno e un politico che chiede, pretende, ordina, avverte, sollecita, allude. Insomma, prevarica.
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