Padre austriaco, madre italo maltese, nonno italiano; è nato in Turchia, si è laureato negli Stati Uniti, ha passaporto austriaco e abita a Milano. Vive tra i liquori dallinfanzia, perchè il nonno maltese possedeva unazienda di spirits a Istanbul che cinquantanni fa aveva stretto un accordo con la Cinzano. Bob Kunze-Concewitz, 42 anni, dal 2005 è amministratore delegato del gruppo Campari, cui appartiene - i casi della vita - anche il marchio Cinzano. Ha continuato la politica di espansione e di acquisizioni: lultima operazione, messa a segno in primavera e che ora sta andando felicemente a regime, è la conquista del bourbon Wild Turkey: pagato 575 milioni di dollari alla Pernod Richard, va ad aumentare i ricavi di 100 milioni di euro allanno e, soprattutto, porta in dote molte potenzialità: «Erano anni che cercavamo un bourbon per arricchire il nostro portafoglio; siamo stati anche sul punto di lanciare un marchio nostro».
Poi si è creata questa opportunità.
«Wild Turkey è il numero uno al mondo nella fascia premium, ha un margine alto, genera molta cassa e appartiene a una categoria in crescita. Abbiamo aumentato la quota di mercato dal 2,2% al 2,5% negli Stati Uniti, dove avere massa critica è importante per trattare con i distributori. Lacquisto di Wild Turkey è diventato operativo il 1º giugno e ci siamo dati 12 mesi per studiarne tutte le potenzialità di crescita: oggi le sue vendite sono concentrate per il 97% negli Stati Uniti, in Giappone e in Australia, è chiaro che le prospettive di espansione sono enormi».
Gli Stati Uniti per voi sono un grande mercato.
«Col dollaro ai livelli attuali, pesano per il 25% sul nostro fatturato. Oggi negli Stati Uniti abbiamo unofferta di whisky completa».
Per lacquisto di Wild Turkey avete aumentato il vostro indebitamento.
«È vero: oggi il rapporto con il margine lordo è di 2,6, ma le garanzie che abbiamo sono più capienti, fino a 3,5. Contiamo comunque di portare il debito a 2 volte lEbitda grazie alla generazione di cassa. Anche per questo nei prossimi 12-18 mesi non prevediamo acquisizioni di queste dimensioni».
La vostra cultura è quella di unazienda prudente.
«Lavoriamo con lo sguardo sul lungo termine, non al trimestre. Abbiamo strategie semplici, chiare, coerenti. Quindici anni fa eravamo unazienda quasi monomarchio e monopaese, con lItalia che rappresentava il 75% dei ricavi...».
Poi è venuta la stagione delle acquisizioni.
«Sì, il fatturato da allora è quadruplicato fino a quasi un miliardo, e per il 55% è fatto fuori dallItalia. Metà è stata crescita organica: il brand building è il nostro pane quotidiano, investiamo mediamente in marketing e pubblicità il 18,5% del nostro giro daffari. Metà con acquisizioni, facilitate dalla redditività e dal forte cash flow: questo ci ha permesso una grossa operazione come Wild Turkey in un momento di crisi mondiale. Ma siamo unazienda conservativa, i nostri rischi sono ben calcolati».
Il calo dei consumi alcolici è un rischio?
«I consumi sono rallentati, ma nei mercati chiave crescono ancora dell1,5-3%, rispetto al precedente 5-7%. In tutti i Paesi la nostra performance è sempre migliore della media. Il mercato italiano cala del 3,8% nel semestre, Campari dell1,2: ma il segmento degli aperitivi, nel quale siamo i leader, è in espansione».
Voi siete il sesto gruppo mondiale. Cè ancora spazio per crescita e consolidamento?
«I primi 100 marchi del mondo corrispondono al 14% dei volumi; questo significa che l86% del mercato appertiene ai marchi locali. Opportunità si possono creare nei Paesi emergenti».
Come vi state muovendo?
«Due anni fa abbiamo creato la Campari Cina, dal novembre del 2008 abbiamo una joint-venture in India. Abbiamo comprato in Argentina il numero 3 della distribuzione, in Messico una distilleria di teqila, gli spumanti Odessa in Ucraina. Il Brasile, che pesa per l8% sul nostro fatturato, è il primo mercato per il Bitter Campari. Lacquisizione di Wild Turkey ci permette di aprire una società commerciale in Australia, un mercato importantissimo per gli spirits».
E della crisi che cosa dice? I vostri conti semestrali sono comunque positivi.
«Dallottobre 2008 abbiamo assistito a un forte fenomeno di destoccaggio, e per questo le vendite a livello organico sono scese del 3%. Contiamo che nel secondo semestre le vendite rispecchino di più i consumi, e che i magazzini ricomincino a riempirsi. Nei prossimi sei mesi dovremo lavorare per sviluppare i marchi appena acquisiti».
Quando finirà la recessione?
«Difficile dirlo. Ma il mondo non ha smesso di girare, e un giorno riprenderà a crescere».
Voi avete fatto dei tagli?
«No. Nellultimo anno siamo passati da 1.600 a 2.300 dipendenti».
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