Cronaca locale

"Aiuterà tanti malati perché una diagnosi precoce salva"

Il chirurgo che lo operò al pancreas: "Questa malattia è tabù, ma parlarne aiuta a riconoscerla in tempo"

"Aiuterà tanti malati perché una diagnosi precoce salva"

Alessandro Zerbi, responsabile del reparto di Chirurgia pancreatica dell'Irccs Istituto Clinico Humanitas e docente dell'Humanitas University, lei aveva operato Gianluca Vialli. «Sì, Vialli si era accorto di avere un tumore al pancreas perché aveva sviluppato l'ittero, un sintomo che l'ha portato a una diagnosi precoce. Era il novembre del 2017 e quell'intervento di duodenocefalopancreasectomia era andato bene». In che cosa consiste? «Nell'asportazione del duodeno e della testa del pancreas. L'operazione è estremamente complessa, ma grazie al suo stile di vita, al fisico atletico e ella dieta già sana che seguiva, l'aveva superato molto bene». Che complicazioni può dare questo intervento? «È un intervento molto complesso che può dare infezioni, emorragie e fistole nelle prime settimane dopo l'intervento. La convalescenza non è rapidissima, ci vogliono alcune settimane, a volte un mese, ma poi la vita prosegue regolarmente».

Non ci sono poi conseguenze dirette dell'intervento?

«No, si deve seguire qualche accorgimento nell'alimentazione, quindi una dieta povera di grassi e di zuccheri, ma ricca di fibre. E poi tenere conto del fatto che si diventa più delicati. L'intervento non è invalidante e la vita poi può proseguire normalmente».

Quali sono i fattori di rischio?

«Il fumo, il sovrappeso, un'alimentazione ricca di grassi e povera di fibre e uno stile di vita sedentario. Anche la familiarità definita come avere due casi di parenti stretti che si sono ammalati di questo tumore».

Quali sono le caratteristiche comuni ai malati?

«Si tratta di un tumore che colpisce più gli uomini delle donne (55 per cento contro il 45) e una fascia di età avanzata da 60 anni in su. Ne approfitto per sfatare un mito: non è vero che il tumore progredisce più lentamente se l'età del malato è più alta. Ogni tumore progredisce più velocemente o più lentamente a seconda di quanto è aggressivo. E quello al pancreas è un tumore molto aggressivo dal punto di vista biologico, tanto che ha una prognosi mediamente peggiore degli altri».

Quali sono i sintomi?

«Purtroppo i sintomi sono spesso tardivi. Tra i sintomi precoci ci sono l'ittero, sintomo legato al tumore alla testa del pancreas che è un tipo specifico di cancro: la massa tumorale comprime le vie biliari facendo tornare indietro la bile responsabile del colore giallo dell'epidermide. Oppure si può verificare una pancreatite, ovvero un'infiammazione del pancreas che dà dolori forti, impossibili da ignorare. Possibile anche un diabete improvviso, segno di uno stadio precoce della malattia».

Esiste uno screening?

«Purtroppo non c'è: solo nel 10 per cento dei casi, ovvero nei pazienti che hanno familiarità per aver avuto due parenti stretti malati, si possono fare dei controlli periodici: una risonanza magnetica all'anno per tenere sotto controllo la situazione. Negli altri casi non esiste uno screening: l'unica via è scoprirlo precocemente. Solo nel 20/30 per cento dei casi, infatti, i pazienti se ne accorgono in tempo per poter essere sottoposti all'intervento di asportazione del pancreas, altrimenti si ricorre a chemioterapia o altre cure e radioterapia. Dopo 5 anni dall'intervento sopravvive il 20/30 per cento dei pazienti poichè c'è un alto rischio di metastasi o recidiva: purtroppo è quello che è successo a Vialli. Però bisogna anche dire che la ricerca e quindi le cure di adesso gli hanno consentito di vivere quei 5 anni con grandi risultati e soddisfazioni».

In che cosa è progredita la ricerca?

«Nella conoscenza dei diversi tipi di carcinoma al pancreas e quindi nella personalizzazione delle cure, nella possibilità cioè di scegliere delle terapie mirate a seconda del tipo di paziente e di tumore. Tutto grazie una complesso lavoro di equipe che vede lavorare insieme patologo, gastroenterologo, chirurgo e oncologo. Gianluca credeva molto nella ricerca, aveva fatto un appello per sostenere Fondazione Humanitas per la Ricerca in questa area».

Qual è l'eredità di Vialli?

«Questa malattia è vista come un tabù perché fa particolarmente paura: ma parlarne aiuta le persone a conoscerlo, a esserne più consapevoli e quindi a essere in grado di sospettare di eventuali sintomi e quindi ad arrivare a una diagnosi precoce che è la cosa più importante. E in questo Vialli, che era una persona stupenda, con il suo modo discreto e sobrio di parlarne, sicuramente ha aiutato e aiuterà tante persone».

L'altro insegnamento che lascia con il suo esempio è il fatto di non arrendersi

«Certo, tutti i pazienti afflitti dallo stesso male sapevano che anche Vialli stava lottando, ma lo vedevano a bordo di un campo da calcio conseguire un successo dopo l'altro».

In questo ricorda il ciclista Lance Armstrong....

«Sì, anche se aveva un tumore diverso, il fatto di sapere trasportare l'agonismo nella vita, anche e soprattutto quando le cose vanno male. Il non mollare mai è un insegnamento che certamente rimarrà.

E aiuterà tante persona».

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