Cronaca locale

Antisemitismo, ebrei in fuga. Ora è allarme in tutta Europa

La decisione di Trump su Gerusalemme riaccende le tensioni. In Francia un atto razzista su tre è contro un israeliano: ecco perché chi può torna in patria

Antisemitismo, ebrei in fuga. Ora è allarme in tutta Europa

Tra gli ebrei francesi è ancora viva la memoria di Ilan Halimi: il primo uomo ad essere sequestrato, torturato e ucciso da un'organizzazione chiamata «banda dei barbari» solo per il fatto di essere ebreo. Era il 2006. Nel 2012 a Tolosa quattro persone, delle quali tre bambini, sono state uccise all'ingresso di una scuola ebraica. Nel 2016, secondo il Servizio di protezione della Comunità Ebraica (Spcj) «un atto razzista su tre è stato rivolto contro un ebreo mentre gli ebrei rappresentano meno dell'1% della popolazione». Questo spiegherebbe il senso di insicurezza che pervade la comunità ebraica francese i cui membri sempre più numerosi decidono di lasciare il Paese ed emigrare in Israele. Ma il Spcj è di parte. Per capire davvero se in Europa sta montando un'onda antisemita bisogna rifarsi ai numeri ufficiali e considerare solo quelli. È importante, perché la decisione del presidente americano Donald Trump si spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola come capitale dello Stato ebraico, non solo rischia di dare il via ad una nuova stagione di guerra nell'area, ma rischia anche di rinfocolare un sentimento antisemita in tutto il mondo.

Sentimento antisemita che può essere «calcolato» attraverso i numeri ufficiali delle aggressioni agli «ebrei in quanto ebrei» e che sono stati raccolti e analizzati dal sito di datajournalism Truenumbers.it. Tutte le polizie europee, ogni anno, diffondono il rapporto sulla criminalità all'interno del proprio Paese e dal 2006, casualmente l'anno dell'omicidio di Ilan Halimi, contengono una sezione dedicata proprio alle aggressioni antiebraiche. In queste pagine sono illustrati gli atti antisemiti nei quattro principali Paesi europei: Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. In Gran Bretagna i casi sono in drammatico aumento: tra il primo aprile del 2015 e il 31 marzo del 2016 sono stati 786 dai 629 dello stesso periodo dell'anno precedente. Solo tre anni prima erano meno della metà. In Germania l'andamento è più discontinuo. C'è stata una crescita di atti antisemiti tra il 2015 (1.366) e il 2016 (1.468) ma nel 2006 il dato era molto più alto: 1.809. Nel primo semestre di quest'anno c'è stata una fiammata di violenza antiebraica: 681 episodi, più 6% rispetto allo stesso periodo del 2016. E poi c'è la Francia, il Paese dal quale gli ebrei stanno fuggendo anche perché non vedono di buon occhio le prime mosse del presidente Macron. Quando Trump ordinò di trasferire l'ambasciata, Macron è stato il primo (al mondo) a criticarlo cercando di creare un blocco occidentale contrario. Nel 2016 gli atti antisemiti sono stati appena 335 (comunque: poco meno di un atto al giorno) rispetto agli 808 del 2015 quando il presidente socialista Hollande dichiarò una mobilitazione nazionale contro l'antisemitismo (Grand cause nationale) e ai 571 del 2006. Stando ai numeri della Digos, l'Italia non sta vivendo una situazione particolarmente allarmante. Nel 2015 (i dati del 2016 non sono stati resi disponibili) i reati antisemiti sono stati solo 50, ma sono di «qualità» peggiore rispetto ai 335 registrati in Francia perché la Digos registra solo i veri e propri reati. Da noi ci sono state 23 persone indagate e nel 2012, quando i casi registrati furono solo 28, con anche 6 arresti.

In Germania la stragrande maggioranza degli atti antisemiti sono stati opera di gruppi dell'estrema destra. Nel resto dell'Europa, invece, si tratta di atti perpetrati da musulmani. L'ufficio statistico di Israele tiene meticolosamente il conto delle persone uccise a causa dell'eterno conflitto ebrei-palestinesi nelle due aree più «calde» che sono Striscia di Gaza e West Bank. In 8 anni la stragrande maggioranza dei morti si è avuta nella Striscia di Gaza dove le forze dell'ordine israeliane hanno ucciso 2.709 palestinesi. Un numero spaventoso che corrisponde a poco meno di un morto al giorno per otto anni. Nella stessa Striscia di Gaza, e nello stesso periodo, i palestinesi hanno ucciso 45 soldati israeliani ma hanno ucciso anche 61 palestinesi, spesso accusati di essere spie di Israele.

I numeri dell'eterno conflitto rivelano un fatto piuttosto indiscutibile: mantenere lo status quo in Israele significa accettare che una persona muoia ogni giorno. Il prezzo da pagare per dare una svolta a una situazione apparentemente inestricabile, come il riconoscimento di Gerusalemme capitale, consiste nel rischio di vedere in Europa crescere gli atti di violenza contro gli ebrei.

Che già ora non mancano.

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