Cronaca locale

Antonia Pozzi, poesia in celluloide

«Oh, tu bene mi pesi l'anima, poesia: tu sai se io manco e mi perdo, tu che allora ti neghi e taci...»: fu poetessa. Nata a Milano, nel 1912, scomparsa a Milano, nel 1938, «addormentata nella neve davanti all'abbazia di Chiaravalle», un suicidio annunciato dalla depressione. Fu poetessa, Antonia Pozzi, e nel Novecento, quando la poesia poteva essere «voce profonda» e non emarginata dalle carte e dagli ambienti «di cultura». Fu consacrata persino da quell'orso di Eugenio Montale, che disse «Nessuna», quando gli chiesero quali italiane potessero esser dette poetesse. Per aggiungere subito: «A parte la Pozzi». Che, non pubblicò, in vita, nemmeno una riga.
Fu poetessa profondamente milanese, anche se pochi milanesi ne sanno qualcosa. Non solo nei versi: «Sospingo una delle grevi porte e mi cade alle spalle la furia del meriggio ventoso» (Nel Duomo, marzo 1931) oppure «Nel tramonto le fabbriche incendiate ululano per il cupo avvio dei treni...» (Periferia, gennaio 1938). Non solo nelle discendenze: figlia di un importante avvocato e della contessa Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, poltrona alla Scala e lezioni di piano. Fu milanese nello spirito del tempo, in cui s'immerse con tutta l'energia intellettuale di cui fu capace. Studiò al Manzoni, dove conobbe quel professor Cervi che amò, riamata e adolescente: «È terribile essere una donna e avere 17 anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi». Studiò inglese, francese, tedesco, viaggiò per la Mitteleuropa e in Inghilterra, fu fotografa e scalatrice. Ma più di tutto fu poetessa: «Guardami: sono nuda. Dall'inquieto languore della mia capigliatura alla tensione snella del mio piede, io sono tutta una magrezza acerba». Comincia così la sua prima poesia, datata 1929, contenuta nella raccolta completa appena uscita per Garzanti, «Tutte le opere», a cura di Alessandra Cenni, che da oltre vent'anni si occupa di far conoscere la Pozzi ai contemporanei. E nuda, nella sua carnale vitalità, appare la sua personalità acuta e straziante in «Poesia che mi guardi», il film che la regista Marina Spada ha dedicato alla poetessa, presentato al Festival di Venezia e ora atteso per la proiezione milanese nel ciclo Panoramica (domani, spazio Oberdan, ore 18, 20.30, 22.15). Con Elena Ghiaurov e Carlo Bassetti, il film, cofinanziato dalla Provincia, è la storia di Maria, una cineasta che, affascinata dalla figura di Antonia, ne ripercorre la biografia. Ma è anche la storia di come la poesia possa tornare, se cercata, a far parte di noi.

Magari, come immagina la regista milanese e docente alla Scuola di Cinema, graffitata sui muri di Milano da un gruppo di universitari per cui i versi sono ancora «voce profonda, profondo rimorso».

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