Cronaca giudiziaria

Stupro di gruppo sui Navigli: c'è la prima condanna. Altri due a processo

La violenza nel marzo 2022 in un locale sul Naviglio Pavese. Gli altri due imputati, i titolari del bar, rinviati a giudizio

Stupro di gruppo sui Navigli: c'è la prima condanna. Altri due a processo

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Stuprata sui Navigli a Milano: 23enne condannato a 3 anni e 7 mesi

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Quella sera di marzo in un locale sui Navigli la sua vita è cambiata, forse per sempre. Aveva bevuto tantissimo: tre di 36 “shottini”, più altri cocktail e birre. In tre l’avevano poi portata, totalmente ubriaca, nelle cantine del locale. Avevano abbassato la serranda perché nessuno vedesse cosa stava accadendo e in tre hanno avuto un rapporto sessuale con lei. Rapporto a cui la donna, una manager di 31 anni, non avrebbe potuto prestare il consenso, secondo la giudice che ha condannato uno dei tre imputati, per via della forte alterazione da alcol.

Per quella violenza sessuale di gruppo, l’amico dei due titolari del bar, un 23enne originario di Padova che lavora a Milano anche lui imputato, è stato condannato a 3 anni e sette mesi di carcere con la formula del rito abbreviato. Gli altri due 27enni che avevano scelto di procedere con rito ordinario sono stati rinviati a giudizio e andranno a processo il 9 aprile. La pm Alessia Menegazzo aveva chiesto una condanna a 4 anni di carcere: in un’accorata requisitoria ha ribadito che il consenso non può essere prestato se si è appunto in uno stato di forte alterazione.

Una tesi che è stata totalmente riconosciuta dalla giudice Sofia Fioretta, per la quale la ragazza stava così male a causa dell’alcol che è “fuori discussione” che avesse potuto dire sì al rapporto. E questo varrebbe in ogni caso come principio generale, anche se in un primo momento la donna avesse avuto un atteggiamento “seduttivo, provocante o disinibito”, spiega la giudice nelle contestuali motivazioni, che poteva indurre gli imputati a pensare che lei volesse avere un rapporto sessuale a tre. Il giovane che ha scelto l’abbreviato, è stato assolto invece dalla gup dalle accuse di avere utilizzato la carta di credito della ragazza (il giorno dopo la 31enne ha trovato una transazione che non ricordava da 48 euro, altri 5 euro in contanti le sono stati sfilati dal portafoglio), e di revenge porn per avere diffuso il video su whatsapp.

“Come sto? Sono distrutta, in un modo che potete solo lontanamente immaginare”, erano state le uniche parole a il Giornale, al telefono, della donna che lavora in una impresa nell’hinterland di Milano, ma è originaria di un’altra città fuori dalla Lombardia. La mattina dopo la violenza si è svegliata una mattina con i ricordi confusi, i vestiti della sera prima ancora addosso, un forte dolore alle parti intime. Si è rivolta al centro antiviolenza della Mangiagalli e ha denunciato. Ma di questo oggi non parla più. “Lasciatemi stare, non posso dire nulla”. In questi sette mesi ha già risposto a molte domande, prima dei carabinieri, poi della pm Menegazzo che ha condotto l’inchiesta con l’aggiunta Letizia Mannella.

Una versione che è stata ricostruita e confermata nel dettaglio, nell’informativa dei carabinieri della compagnia Monforte e del nucleo investigativo guidato da Antonio Coppola.

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