Cronaca internazionale

Navalny, l’anti-Zar che ha svelato la corruzione del putinismo

Ha trovato il punto debole del regime. Tra social e Internet, è riuscito a umiliare il leader russo anche dopo l’avvelenamento

Navalny, l’anti-Zar che ha svelato la corruzione del putinismo

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Alexei, l’anti-Zar che ha svelato la corruzione del putinismo

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Vladimir Putin si rifiutava perfino di citare in pubblico il suo nome. E nelle interviste era costretto a usare imbarazzanti giri di parole: «il personaggio che lei ha citato», «quel signore», «una determinata forza politica». Un distacco ostentato che alla fine si era trasformato in un manifestazione di nervosismo. Abituato con una certa facilità a fare fuori, in senso proprio e traslato, i suoi avversari politici, l’autocrate del Cremlino non è mai riuscito a fare davvero i conti con Alexei Navalny. Iscritto al partito liberale Yabloko nei primi anni 2000, Navalny aveva dimostrato vicinanza e interesse per le forze nazionaliste, partecipando anche a manifestazioni discusse come la cosiddetta «marcia russa». Difficilmente poteva essere incasellato tra quelle élite cosmopolite, o peggio, intellettuali, che era così facile contrapporre al popolo della Santa madre Russia.

Anzi, del popolo il dissidente morto ieri sapeva interpretare benissimo gli umori. Negli anni dieci aveva individuato il vero punto debole del regime di Putin, quello su cui era più facilmente attaccabile: la dilagante corruzione. Il movimento politico del presidente era diventato, con uno slogan che tutti ripetevano, «partiya zhulikov i vorov», il «partito dei ladri e dei truffatori». L’espressione aveva fatto breccia soprattutto tra il pubblico giovanile: di fronte a un Putin homo sovieticus, non in grado di usare né internet né le mail, il dissidente era riuscito a trasformare i social e youtube in una continua spina nel fianco del Cremlino. Le sue video-inchieste sulle ricchezze dell’autocrate e della corte, un mix di sofisticata competenza giornalistica e di tecniche da moderno videomaker, raccoglievano ogni volta milioni e milioni di visualizzazioni.

Per tre volte hanno cercato di ucciderlo: nel 2017, nel 2019 e nel 2020. Nell’ultima occasione, quella dell’avvelenamento con il novichok, se l’è cavata per un insieme di circostanze favorevoli. Ma anche in questo caso, dopo il ricovero in Germania e la convalescenza, si è preso qualche soddisfazione. La sua squadra di giornalismo investigativo è riuscita a individuare gli ufficiali del Fsb autori dell’agguato. In una esilarante intervista telefonica in diretta, fingendo di essere un alto ufficiale dei servizi segreti incaricato di condurre un’inchiesta sul fallito attacco, è riuscito a far confessare uno degli autori del tentato omicidio, che ha ammesso di avergli messo il veleno nelle mutande.

Per Putin un’altra insopportabile umiliazione. Non a caso quando Navalny è tornato in Russia la risposta è stata durissima: alla prima condanna a 3 anni e mezzo di carcere, se ne è aggiunta un’altra di nove, poi un’altra ancora di 19. Irrilevanti o del tutto risibili le motivazioni: estremismo, terrorismo e così via. Quanto alle ragioni del ritorno restano di difficile lettura, di fronte a quello che per molti è stato semplicemente un omicidio annunciato. Contano certamente le motivazioni di opportunità politica. Rimanendo all’estero Navalny sarebbe diventato uno dei tanti esuli senza alcuna presa sull’opinione pubblica russa. Scegliendo la strada del sacrificio e della carcerazione in una colonia penale punitiva si è inserito nel solco di una tradizione che nell’immaginario del Paese ha un ruolo importante.

Tutta le letteratura dell’Ottocento, da Dostojevsky a Tolstoi, è piena di riferimenti in gloria ai patrioti (a partire dai protagonisti della rivolta decabrista) che hanno accettato di pagare con la prigione il proprio amore per il popolo. Per qualcuno Navalny è già vicino al giovane aristocratico Sergey Volkonsky, amico personale dello zar (e ispiratore di uno dei personaggi di Guerra e Pace), che decise di pagare con 40 anni di esilio siberiano e con la morte la propria rivolta in nome della libertà. «Se decideranno di uccidermi, significa che siamo incredibilmente forti», dice Navalny nel documentario a lui dedicato che ha conquistato l’anno scorso l’Oscar. «Dobbiamo usare questo potere per non arrenderci, per ricordarci sempre che siamo una potenza dominata da oscuri personaggi.


L’unica cosa che può far trionfare il male è la nostra inerzia».

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