Cronaca nera

Omicidio di Rovereto, lo zio di Pamela Mastropietro: "Non è razzismo, ma i nigeriani..."

L’assassinio di Iris Setti è solo l’ultimo di una lunga serie. Marco Valerio Verni: “L'integrazione non è una mera parola di cui gonfiarsi la bocca, ma è un processo vero e proprio, lungo e complesso”

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Omicidio di Rovereto, lo zio di Pamela Mastropietro: "Non è razzismo, ma i nigeriani..."

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È grande la rabbia per l’omicidio di Rovereto, dove sabato la sessantenne Iris Setti è stata uccisa brutalmente dal nigeriano senza fissa dimora Nweke Chukwuka. L’ennesimo femminicidio, l’ennesimo brutale assassinio perpetrato da uno straniero con precedenti alle spalle. "Non si deve aver paura di essere tacciati di razzismo o di incitamento all'odio razziale quando si denuncia l'innegabile. Molte di queste aggressioni, le più violente come quella subita da mia nipote ammazzata a 18 anni, sono compiute da stranieri, provenienti per lo più dall'Africa e, in particolare, dalla Nigeria": questo il giudizio di Marco Valerio Verni, zio di Pamela Mastropietro e legale della famiglia, ai microfoni dell’Adnkronos.

Lo zio della diciottenne stuprata, uccisa e fatta a pezzi da pezzi da Innocent Oseghale – anche lui nigeriano –ha sottolineato che i fatti di Rovereto rappresentano qualcosa di drammatico ma che non ha o non ha più dell’inverosimile: “Ormai, si ha sempre più spesso notizia dai media, anche se, in alcuni casi, si preferisce quasi nasconderle in trafiletti di poche righe, mascherando, peraltro, la nazionalità di chi le compie, con artifici lessicali che lasciano interdetti, come 'italiano di seconda generazione' o 'italiano di origini di questo o quel Paese'. Fin quando, poi, non si sfocia in tragedie come queste”.

Verni, avvocato e portavoce del Comitato nazionale sulla criminalità etnica in Italia, ha evidenziato che qualcosa non ha funzionato, considerando che il killer di Rovereto aveva già dato segni di squilibrio un anno fa, quando aggredì prima dei passanti e poi dei carabinieri intervenuti sul posto. “Analizzare i dati e i fatti, vuol dire cercare di prevenire situazioni estreme, sempre che poi, nel passaggio successivo, si abbia il coraggio anche di monitorare chi è deputato a gestire il tutto”, il giudizio dello zio di Pamela. Soffermandosi sul dossier integrazione, Verni ha rimarcato che non si tratta di una mera parola di cui gonfiarsi la bocca, ma è un processo vero e proprio, lungo e complesso: “Occorrerebbe un costante monitoraggio anche psicologico, per queste persone, soprattutto perché, se è vero che scappino da situazioni di guerra o di gravi crisi umanitarie e/o economiche, è indubbio che possano aver sofferto dei traumi. A ciò, poi, si aggiunga la diversità valoriale e culturale nel concepire alcune tematiche.

Ecco perché è importante non tergiversare più - ha concluso - giusto pensare a intervenire nel continente africano attraverso, magari, il 'Piano Mattei", occorre invertire la rotta”.

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