Cronache

Detenute nelle ville di lusso, Raggi inaugura la Casa di Leda

Virginia Raggi inaugura la Casa di Leda: così sei detenute del carcere di Rebibbia e i loro bambini potranno scontare i domiciliari in una villa di lusso confiscata alla criminalità

Detenute nelle ville di lusso, Raggi inaugura la Casa di Leda

Nonostante le proteste iniziali dei residenti, alla fine, in una delle due ville di via Kenya, nel cuore dell'Eur, sono arrivate le prime quattro detenute. Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, assieme al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, hanno inaugurato ieri, infatti, “La Casa di Leda”, dove sei madri detenute nel carcere di Rebibbia e senza una dimora fissa dove scontare i domiciliari, potranno estinguere la loro pena in un ambiente adatto per la crescita dei loro figli.

“Abbiamo restituito alla città un altro edificio confiscato alla mafia, una struttura di oltre 600 mq dove i bambini potranno vivere insieme alle loro mamme sottoposte alla misura degli arresti domiciliari”, scrive la sindaca pentastellata su Facebook. In realtà, si tratta di un progetto fortemente voluto dall’ex giunta di centrosinistra. Fu l’ex assessore alle Politiche sociali della giunta Marino, Francesca Danese, infatti, a dare il via all'iniziativa nell’ottobre del 2015, firmando il protocollo d’intesa tra assessorato, Ministero della Giustizia e Poste Insieme, la Onlus che si è impegnata a stanziare 150mila euro l’anno – circa 2mila euro al mese per ogni detenuta – per realizzare l’iniziativa. Si tratta di un progetto sperimentale. Il primo in Italia che tenterà di dare attuazione alla legge 62 del 2011 sulla valorizzazione del rapporto tra le detenute e i loro figli minorenni, per tirare fuori i bambini, “reclusi senza sentenza”, come ha sottolineato ieri il ministro Orlando, dalle carceri.

La villa potrà ospitare fino ad un massimo di sei mamme e otto bambini. Per ora, a varcare la soglia della villa che si trova all’angolo fra via Kenya e via Algeria, sono state quattro donne e quattro minori detenuti nella casa circondariale di Rebibbia. Si tratta di due donne di origine balcanica, di un’egiziana e di un’italiana. A breve, però, il numero aumenterà, con l’arrivo di una quinta mamma, che sta per essere trasferita dal carcere. L’abitazione sarà sorvegliata giorno e notte dalle forze dell’ordine e ad occuparsi delle detenute e dei bambini saranno i volontari dell'associazione A Roma Insieme e di Poste Italiane. I volontari forniranno sostegno psicologico alle madri e assistenza ai piccoli, per i quali provvederanno all’iscrizione a scuola e all'assegnazione del pediatra. Ad occuparsi degli arredi è stata, invece, la multinazionale svedese Ikea.

“L’obiettivo del progetto è il benessere del bambino, per garantire il quale non è sufficiente ospitarlo fuori dal carcere ma anche garantire un futuro autonomo alle madri", ha spiegato Lillo Di Mauro, dell’associazione A Roma Insieme, che è responsabile della struttura dedicata alla memoria di Leda Colombini, figura di primo piano del Pci, attivista per i diritti delle madri dietro le sbarre e madre del deputato del Pd Umberto Marroni.

Il garante per i diritti dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, intervenuto all’inaugurazione, ha chiesto che vengano individuate ulteriori strutture che, sull'esempio della Casa di Leda, "possano svuotare il nido di Rebibbia". Il percorso che ha portato all’apertura della struttura, però, non è stato facile anche a causa delle proteste dei residenti che si erano opposti al progetto denunciandone la mancanza di trasparenza assieme all’inadeguatezza delle ville per ospitare le detenute. “Ora vigileremo su come si comporteranno”, commenta Sandro Maggiorano del comitato di quartiere Eur Insieme, “hanno il coltello dalla parte del manico e non hanno voluto ascoltare le ragioni dei cittadini”. "Con la giunta a Cinque Stelle", spiega Maggiorano, “ci siamo trovati davanti ad un muro di gomma”.

E a chi, come il ministro Orlando, ha accusato i residenti di avere “una visione razzista e classista”, dal comitato di quartiere rispondono che “non si tratta di razzismo ma di argomentazioni razionali che portano a dire che l’iniziativa è stata impostata in modo illogico e che la villa, distante dalle fermate dei mezzi pubblici e dai principali servizi, non è adatta ad ospitare persone che devono integrarsi nella società”.

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