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Quel doppiopesismo che ci porta indietro

Mentre il mondo si prepara a entrare nel futuro sulla scia di un'imprevedibile rivoluzione tecnologica, l'Italia resta ferocemente avvinghiata alle rivoluzioni abortite del XX Secolo

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Mentre il mondo si prepara a entrare nel futuro sulla scia di un'imprevedibile rivoluzione tecnologica, l'Italia resta ferocemente avvinghiata alle rivoluzioni abortite del XX Secolo. Ci siamo addirittura presi la briga di cambiare millennio, ma il Novecento, che doveva essere il «secolo breve», si è rivelato interminabile e ci costringe a duellare con armi spuntate come le vecchie ideologie. Peggio, spinge qualcuno a ragionare con i vecchi schemi quali il doppiopesismo, la superiorità antropologica di una parte, sappiamo quale, la cultura come terreno di scontro ed esclusione. Invece di andare avanti, torniamo indietro. Gli anni di piombo sono ancora una ferita aperta e inevitabilmente se ne discute.

A questo proposito, spiace leggere articoli su articoli, nei giornali di sinistra, che rimettono in discussione verità storiche acquisite a fatica. Prima, però, diamo una occhiata al centrodestra. Quasi ogni giorno, un compagno di partito di Giorgia Meloni si sveglia e ne spara una grossa, forse pensando di essere al bar e non al governo. Cosa che mette in cattiva luce non solo la incolpevole Meloni ma anche tutti coloro che buttano sul tavolo argomentazioni serie. La legittima critica all'avversario, nelle mani della sinistra, diventa l'occasione per un risciacquo della propria coscienza collettiva e per un revisionismo in malafede. Così, in seguito al caso di Marcello De Angelis, e delle sue dichiarazioni sulla strage di Bologna, è capitato di leggere grottesche ricostruzioni degli anni di piombo. Da una parte, il terrorismo rosso, che lottava contro il Partito comunista e che dal Partito comunista fu sconfitto. Dall'altra, il terrorismo nero, che era contiguo al Movimento sociale e ora a Fratelli d'Italia, incapace di recidere le radici. Il Partito comunista prima e quello Democratico dopo, invece, sono usciti lindi dagli anni di piombo. A parte questo, sembrava ormai acclarato che le Brigate Rosse appartenessero all'album di famiglia del Partito comunista. Lo scrisse Rossana Rossanda sul Manifesto, nel 1978: «In verità, chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Brigate Rosse. Sembra di sfogliare l'album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria». Le Brigate Rosse lottavano contro l'imperialismo delle multinazionali, contro lo Stato borghese e i suoi servitori, in una visione paranoica e violenta della realtà. Eppure alcuni ex terroristi hanno avuto perfino incarichi pubblici, dopo la necessaria redenzione. Bisognerà rispiegare tutto da capo ai sedicenti intellettuali. Nel frattempo osserviamo un fatto. A destra, nessuno si sogna di usare legami col terrorismo, ormai dissolti dalla storia, per contestare il Partito democratico.

A sinistra, invece, Giorgia Meloni è indicata come capo di Fratelli d'Italia, che non sarebbe un partito in transito verso una moderna forma di conservatorismo, ma una banda di reduci della stagione delle bombe e di loro ammiratori.

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