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"È la fine peggiore. Noi liberali siamo un'altra cosa"

Alle nostre elezioni politiche nazionali del 2006, l'Ufficio elettorale centrale presso la Corte di Cassazione decretò la vittoria della coalizione di centrosinistra alla Camera per poco più di 24.000 voti, pari allo 0,02%

"È la fine peggiore. Noi liberali siamo un'altra cosa"

A lle nostre elezioni politiche nazionali del 2006, l'Ufficio elettorale centrale presso la Corte di Cassazione decretò la vittoria della coalizione di centrosinistra alla Camera per poco più di 24.000 voti, pari allo 0,02%, un margine ristrettissimo, però sufficiente a fare scattare il premio di maggioranza e, quindi, a consentire ai nostri avversari di governare il Paese.

Da leader di Forza Italia e del centrodestra chiesi con forza il riconteggio dei risultati, sia perché il margine era estremamente esiguo, sia perché avevo ricevuto numerose e documentate segnalazioni di irregolarità. Tuttavia, da Presidente del Consiglio in carica, feci tutto il necessario per assicurare un ordinato passaggio di consegne con il mio successore, Romano Prodi, passaggio che avvenne regolarmente e con rispetto reciproco.

Non ho mai smesso di pensare, e lo penso tuttora, che quella volta sia stato commesso un torto non tanto a me personalmente quanto alla volontà degli elettori, ma la strada che decidemmo di seguire fu naturalmente quella prevista dalla Costituzione e dalla Legge: facemmo ricorso alla Giunta per le Elezioni della Camera, la quale avviò effettivamente un riconteggio, che però non si concluse per la fine anticipata della legislatura dopo la caduta del governo Prodi nel 2008.

Tutto qui: né io, né nessun membro del governo, dirigente di Forza Italia o dei partiti alleati considerò neppure per un istante l'ipotesi di ostacolare il funzionamento delle istituzioni, tantomeno di prendere d'assalto il Parlamento o gli altri luoghi simbolo della democrazia rappresentativa. Se qualcuno lo avesse proposto, del resto, avrei provveduto ad un immediato allontanamento. Sorge spontaneo il confronto con quanto sta accadendo negli Usa in questi giorni. Il Presidente Trump ha ottenuto un numero di voti molto alto, ma inferiore di circa 7.000.000, pari al 4,5% circa, a quello dello sfidante democratico, il Sen. Joe Biden. Il Presidente uscente sostiene, con argomenti che non sta a me giudicare, di essere vittima di brogli e ha fatto ricorso come è suo diritto a una serie di organi giurisdizionali competenti, fino alla Corte Suprema (nella quale prevale un atteggiamento conservatore, grazie anche alle nomine effettuate dallo stesso Trump). Nessun tribunale tuttavia gli ha dato ragione.

Nondimeno il Presidente Trump ha fatto intendere fino ad oggi di non riconoscere la vittoria del suo successore e si è creato un clima nel quale sono maturati i gravissimi e sanguinosi incidenti di ieri, senza precedenti nella storia della democrazia americana, che è sempre stata un modello per noi e per tutto il mondo libero.

Le immagini del Congresso preso d'assalto da un gruppo di facinorosi mi hanno profondamente turbato: penso con emozione al giorno in cui ebbi il grande onore di pronunciare in quella stessa aula un discorso, che fu accolto da ben otto standing ovation dai parlamentari di entrambi gli schieramenti. In quell'occasione ricordai quando, da bambino, mio padre mi condusse a visitare un cimitero di guerra nel quale riposavano i giovani soldati americani caduti nella Seconda guerra mondiale per difendere la nostra libertà. Mio padre mi fece promettere eterna gratitudine a quegli uomini e alla loro patria, gli Stati Uniti d'America. E quella promessa lo dissi allora e lo ripeto oggi - non la dimenticherò mai.

Proprio per questo non posso rimanere indifferente a quanto sta accadendo a Washington. Al fatto che il Presidente Trump rischia di minare con il suo atteggiamento lo spirito stesso della nazione americana e della sua democrazia liberale. L'America non è mai stata così profondamente lacerata, dall'epoca della guerra civile.

Per essere obbiettivi, sarebbe ingiusto e ingeneroso negare che la Presidenza Trump abbia ottenuto anche risultati positivi importanti nel suo quadriennio. La politica di tagli fiscali, prima dell'emergenza Covid, aveva determinato effetti molto positivi sull'economia e sull'occupazione, mentre alcuni aspetti della politica estera sono stati di indubbio successo, per esempio aver favorito lo storico processo di pace fra Israele e diversi Paesi del mondo islamico.

Questo brutto epilogo però mette in ombra anche quei successi e offuscherà nella storia il ricordo di questa Presidenza.

Personalmente ho sempre trovato scorretto che i leader politici italiani si schierassero nelle vicende politiche interne di Paesi amici ed alleati. Del resto il nostro rapporto con gli Usa, Paese leader del mondo libero, è solidissimo e va al di là delle singole amministrazioni.

Non ho mai avuto occasione di incontrare personalmente Donald Trump. Ho avuto invece rapporti di grande cordialità con diversi presidenti americani, da Bill Clinton a Barack Obama, ma soprattutto una vera amicizia personale e affinità di idee e di valori mi ha legato e mi lega a George W. Bush.

Credo che il suo commento sia l'unico possibile per un leader liberale, conservatore, moderato: il Presidente Bush, in sintonia con molti storici esponenti repubblicani, ha espresso «incredulità e sgomento» per un comportamento che ha definito «sconsiderato» non solo dei rivoltosi, ma anche di chi li ha istigati. «Il nostro Paese - ha aggiunto - è più importante della politica del momento».

Così si esprime uno statista. È quello che pensavo nel 2006, pur contestando il risultato elettorale di allora, ed è quello che penso anche oggi. È la ragione per la quale, per esempio, in questi mesi ho deciso di mettere da parte le polemiche politiche e di rendermi disponibile a collaborare con un governo di cui non condivido quasi nulla, per fronteggiare l'emergenza della pandemia.

Questo significa essere liberali, nelle democrazie dell'Occidente. Questo è il nostro centro-destra, quello di Winston Churchill, di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher, di Helmut Kohl, di George W. Bush.

Una destra che assaltasse il Campidoglio non sarebbe mai la nostra destra. E, in questo tragico episodio, la destra americana, che pure rispecchia uno stato d'animo diffuso nella società americana, incoraggiato ed eccitato da una propaganda poco responsabile, non è certamente la destra repubblicana che noi abbiamo sempre apprezzato.

Questa radicalizzazione, peraltro, ne favorisce una speculare a sinistra: l'affermarsi all'interno del Partito Democratico di personaggi come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez - portatori di idee estremiste mi preoccupa molto profondamente.

Il Presidente Biden ha dunque un compito molto difficile: ricucire l'unità profonda di un Paese lacerato. Questo è nell'interesse di Democratici e Repubblicani, ma è anche nell'interesse di tutto il mondo libero, per il quale gli Stati Uniti sono un grande punto di riferimento.

Per questo auguriamo con grande convinzione al nuovo Presidente tanto coraggio, tanta determinazione e buon lavoro.

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