Cronache

Quel cavillo che tiene aperto il centro islamico dei jihadisti

A Merano ancora aperta la moschea abusiva che era frequentata dai jihadisti arrestati nel 2015. E la sinistra chiude un occhio L'imam alla nostra giornalista: "Non le do la mano, altrimenti mi sporco"

Quel cavillo che tiene aperto il centro islamico dei jihadisti

"È vero, questo è un centro culturale ma pregare è nella cultura dell'islam", così il responsabile dell'"Associazione Pace Merano", che non ha voluto svelarci il proprio nome, giustifica la trasformazione di un locale in moschea abusiva.

A distanza di un anno e mezzo siamo tornati a Merano dove, nel novembre del 2015, i carabinieri del Ros hanno arrestato quattro presunti jihadisti che avevano scelto come base per il reclutamento proprio il comune dell'Alto Adige. Nell'operazione che ha coinvolto anche altre forze di polizia europea finirono in manette 17 persone, 16 cittadini curdi e un kosovaro, con l'accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale. Per i quattro residenti nella cittadina di montagna, lo scorso 13 febbraio la Corte d'appello di Bolzano ha confermato le pene di primo grado da quattro a sei anni di reclusione. Al momento sono detenuti nel carcere di massima sicurezza di Rossano Calabro. Abdul Rahman Nauroz, ritenuto il presunto reclutatore dell'organizzazione, viveva in un appartamento in Via Mainardo, una delle vie principali di Merano, "pagato totalmente dai servizi sociali di quella città", dichiaravano i carabinieri del Ros.

Siamo tornati a Merano per capire se, a fronte di questi gravi episodi, i controlli sulla comunità musulmana del posto siano stati intensificati. Quello che abbiamo scoperto ha però dell'incredibile. Ad appena un minuto a piedi dal palazzo in cui Nauroz addestrava i futuri terroristi, c'è un centro culturale islamico utilizzato a tutti gli effetti come una moschea e dove Abdul andava abitualmente a pregare. Dopo essere passati davanti a una macelleria halal e al negozio della Western Union, quello che serve per inviare denaro in tutto il mondo, arriviamo davanti a un locale con i vetri opachi. Impossibile vedere all'interno. Per due giorni è sempre tutto chiuso. Strano per un centro culturale. (GUARDA IL VIDEO)

"Pregare è nella nostra cultura"

Torniamo il venerdì, giorno sacro nella religione islamica, e finalmente troviamo la porta aperta. Attaccato un cartello: "Si prega di non stare davanti a moschea e non fare rumore. Grazie". Ma non si tratta di un centro culturale? Proviamo a parlare con qualcuno e un uomo, che si rifiuta di stringermi la mano perchè "altrimenti si sporca", ci dice di aspettare. Dopo pochi minuti arriva il responsabile della struttura che conferma i nostri sospetti. "Vorremmo capire se questo è un centro culturale o una moschea", gli chiediamo. "Voi sapete che in Italia non esistono moschee (in realtà ce ne sono quattro: Ravenna, Roma, Colle Val D'Elsa e Segrate Milano, ndr). Questo è un centro culturale per islamici". Incalziamo: "Però voi lo utilizzate come moschea?". "Dentro la nostra cultura c'è la preghiera. Questa è una cosa normale per noi". Ed ecco svelato il "trucchetto": visto che la preghiera fa parte della cultura è lecito che quello che dovrebbe essere un centro culturale si trasformi a tutti gli effetti in una moschea abusiva. Il tutto aiutato dall'assenza in Italia di una normativa quadro e dal beneplacito del vicesindaco e assessore alla cultura, Andrea Rossi, che contattiamo telefonicamente. "È un'associazione registrata al nostro albo delle associazioni culturali - ci tiene a specificare - Che dentro ci siano anche dei momenti che hanno a che fare con la fede religiosa ci sta".

È importante fare però una distinzione. Una moschea è una struttura architettonica costruita ad hoc e completa di cupola e minareto. Differente è invece il concetto di "musalla": sale di preghiera. Spazi, cioè, adibiti a luogo di culto dalle comunità islamiche dove, oltre alla preghiera, vengono svolte anche altre attività di tipo culturale e di insegnamento. Il problema è che nel locale dell'"Associazione Pace Merano" non si svolgono altre attività al di fuori della preghiera. Ed è sempre il responsabile a dircelo. Quando infatti gli chiediamo se dopo gli arresti dei presunti jihadisti nell'autunno del 2015 vengano fatti più controlli risponde: "Mai visto carabinieri qui perché noi veniamo solo per pregare. Poi è sempre chiuso". Nessuna traccia quindi delle attività culturali.

Chiediamo infine il permesso di visitare il locale ma la risposta è categorica: "Non si può".

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