Cronache

L'inferno di Giulia, clochard italiana molestata a Colle Oppio

La testimonianza di Giulia, clochard italiana di 24 anni che viveva nel parco romano di Colle Oppio: "Picchiata e costretta a concedermi sessualmente dall'algerino di cui ero innamorata"

L'inferno di Giulia, clochard italiana molestata a Colle Oppio

Giulia, a soli 24 anni, è una delle tante senzatetto che affollano le strade scure della Capitale. Arrivata nell’ombelico d’Italia da Napoli, lasciandosi una situazione familiare difficile alle spalle, con sé non ha nulla se non la voglia di cambiare vita. La sua storia è incredibilmente simile a quelle che, nelle ultime settimane, hanno riempito le cronache dei giornali. Storie di violenza ed abusi, storie di ordinaria paura a Roma.

Anche lei, come la clochard tedesca stuprata a villa Borghese, aveva scelto un giardino dove trascorrere la notte: il parco di Colle Oppio. Lo stesso che ha già fatto da cornice allo stupro di una turista australiana e al tentato stupro di una giovane americana. E anche Giulia, come le altre, è incappata in un aguzzino.

Un algerino arrivato chissà come in Italia, che “vive di espedienti e piccoli furti nei supermercati” ed ha già “collezionato” ben sei fogli di via. Ma è ancora qui. “Era il 9 gennaio del 2016 - racconta - quando ho incontrato un uomo di nazionalità algerina e religione musulmana nel parco di Colle Oppio”. All’epoca Giulia vagava senza meta per la città e cercava protezione. “Cercavo qualcuno con cui passare la notte, qualcuno che mi facesse sentire sicura perché non è facile dormire in strada”. Così cede alle avances dello straniero e, assieme a lui, si accampa in una delle volte della Domus Aurea.

All’ombra del Colosseo, tra i ruderi romani, “avevamo portato un materasso e dei teli”. Ma, presto, la “convivenza” diventa un inferno. “All’inizio sembrava una persona normale - racconta - poi ha cominciato a diventare possessivo e a maltrattarmi”. Inizia tutto dalle prime parolacce, dalla pretesa che lei gli camminasse sempre qualche passo indietro e dal divieto di parlare in pubblico nei momenti in cui la coppia si trova assieme agli altri sbandati che popolano il giardino. “Poi - continua - ha iniziato a bere”. Quando finivano le bottiglie, “se ne scolava più di una a sera”, iniziavano le violenze.

“Di giorno mi prendeva a schiaffi in faccia e calci nel sedere, sempre attento a non lasciarmi addosso dei segni, e di notte era anche peggio”. La situazione precipita e Giulia viene presto sopraffatta. “Ogni notte pretendeva che io mi concedessi, anche se non volevo, più volte di seguito finché non era esausto e per obbligarmi mi picchiava”. Discussioni ed urla non vengono sentite da nessuno. Quello che si consuma nell’oscurità di quell’arco romano, adibito a camera da letto, non lo vede nessuno. “Gli altri clochard sapevano - attacca Giulia - ma nessuno mi ha mai aiutata”. Lei, d’altro canto, non ha denunciato il suo aguzzino “per paura di come avrebbe potuto reagire” e così le violenze continuano, invisibili a chiunque, per mesi.

Finché, qualche giorno fa, non ha deciso che era troppo. Finché non ha iniziato a temere per la sua vita e si è ribellata al suo carceriere. Così ha preso i suoi pochi averi e si è allontanata dal giardino per trovare un riparo di fortuna altrove. Ma questo non basta a farla sentire al sicuro. “Adesso dormo in un altro parco ma frequento la sua stessa mensa, i luoghi dei poveri sono sempre gli stessi, e così ancora mi capita di incontrarlo”. Per questo Giulia si è rivolta ad un centro anti violenza e, adesso, spera di trovare una sistemazione migliore. Per il momento però il suo tetto è ancora il cielo stellato.

E la notte, a Roma, fa buio sempre prima.

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