Politica

I razzisti chic che ora negano il diritto di voto

In America scendono in piazza contro Trump e in California c'è voglia di secessione. In Italia la sinistra vuole abolire il suffragio universale e insulta gli elettori bianchi

I razzisti chic che ora negano il diritto di voto

Il voto non è più un diritto per tutti. Messa così sembra lo slogan di qualche gruppo reazionario che sogna di asfaltare le battaglie democratiche del Novecento. Solo che questa volta i nemici del suffragio universale sono mascherati da progressisti, perlomeno è così che si definiscono.

Vivono nel cuore delle grandi metropoli, occupano le cattedre delle università, scrivono romanzi e saggi di un certo successo, sono ospiti fissi nei programmi di opinione in tv e si tengono stretti come feudi gli spazi in prima pagina di ciò che resta dei giornali. Sono ex capi di Stato e politici che straparlano in pubblico dei diritti delle minoranze. Sono chef, rockstar, integralisti vegani, donne impegnate in ogni festa per i diritti civili, banchieri illuminati, attori con il grugno preoccupato per le sorti della nazione. Questo vale negli Stati Uniti, in Europa e naturalmente anche in Italia. Certe cose fino a qualche tempo fa le buttavano lì, tra di loro, come provocazione: certa gente non dovrebbero farla votare. Come a dire che la democrazia sta diventando pericolosa e ci vorrebbe una patente di sana e robusta costituzione o almeno un esame di idoneità.

Adesso sono sbottati e si scagliano con rabbia e fastidio contro quello che marchiano come l'elettore tipico di Donald Trump, quello con cui Alessandro Baricco cerca di intavolare un dialogo, il famigerato proprietario di una ferramenta del Wyoming. Chi è questo sconosciuto? È bianco, è cristiano, è frustrato, deluso, di cultura populista e popolare, invidioso delle élite, malfidato, se è donna tutti stanno lì a precisare che non ha studiato e sotto sotto è masochista, visto che tradisce il suo genere votando il maschilista con il gatto rosso in testa. Sono insomma degli incivili. Ma soprattutto - come spiega il presidente emerito Napolitano su L'Unità - sono pericolosi. Sono gli stessi della Brexit, gli stessi che lo hanno costretto quando era al Quirinale a mettere in quarantena le elezioni. Fino a quando questa gente voterà è meglio che a scegliere chi governa sia un vecchio oligarca che si è appropriato di un potere extracostituzionale. Ecco allora i tre premier nominati senza passare dal voto.

Al suo coro si accoda ora proprio uno dei tre, quell'Enrico Letta che intervistato dalla Stampa canta il de profundis alla democrazia di tutti. Ezio Mauro su Repubblica si interroga sulla malattia del tempo, sui «forgotten men» che si lasciano incantare dal pifferaio Trump, una nuova schiatta, una nuova razza, il dio sconosciuto della democrazia a stelle e strisce. E il peccato originale di questi guastatori della cultura dominante è il loro essere fuori dai radar non solo del potere, ma anche del marketing, dei sondaggisti, di sociologi ed economisti. È un branco fuori dal branco. L'errore che gli oligarchici fanno è liquidarli con disprezzo senza neppure cercare di capire le ragioni del loro malcontento. Anche se molti di loro sono operai senza più fabbriche e classe media senza più futuro. Questo perché con la Brexit e con Trump è emersa la grande ipocrisia della sinistra occidentale: non sa capire il popolo perché è convinta che puzzi.

Sono passati cinquant'anni da quando Martin Luther King e il presidente Lyndon Johnson lottarono per eliminare gli ultimi ostacoli al suffragio universale. Era il 1966 e due sentenze della Corte suprema stabilirono che poteva votare anche chi non aveva un'istruzione minima. Era una battaglia per i neri e contro il razzismo. I finti democratici del 2016 stanno di fatto sostenendo che chi non ha la loro stessa cultura non dovrebbe votare. Non arrivano a cambiare le leggi ma stanno portando avanti una campagna diffamatoria contro i bianchi, cristiani, poco istruiti. È una delegittimazione a posteriori. È un marchio sulla pelle. È una forma ipocrita di razzismo.

È la morte della democrazia.

Commenti