Politica

Ritorno al futuro in un Paese sempre in replica

L'Italia immobile dei corsi e ricorsi

Ritorno al futuro in un Paese sempre in replica

M i chiedo: quando Friedrich Nietzsche parlava dell'eterno ritorno, forse aveva in mente l'Italia? In effetti il filosofo tedesco impazzì proprio da noi, a Torino, abbracciando un cavallo, sarà un caso? Come si fa a non impazzire? Qui è tutto un corso e ricorso, in qualsiasi campo passano gli anni ma sembra di essere sempre allo stesso punto, condannati a vivere su un tapis roulant.

E quindi, toh, spunta di nuovo Romano Prodi, che torna a auspicare addirittura: l'Ulivo! Che novità! E mentre Prodi vuole rifondare l'Ulivo, i magistrati, sempre i soliti, aprono l'ennesima inchiesta su Silvio Berlusconi, nuovamente indagato per il caso Ruby, tanto per farci vivere l'ebbrezza del nuovo che non cambia mai. Come vedere un programma che ripete la stessa replica ogni giorno, come vedere l'ennesima finale tra Federer e Nadal. Al contempo non riusciamo ad avere una legge elettorale, insomma: è da vent'anni che si sente parlare di legge elettorale e non riusciamo a farne una, per la mancanza della quale, regolarmente, non si può andare alle elezioni (non avere una legge elettorale è sempre stato il migliore alibi della classe politica per tirare a campare).

Beppe Grillo, dal canto suo, non è più in piazza con i Vaffa Day perché nel frattempo è in parlamento con centinaia di deputati e senatori, ma è come se non ci fosse, è tutto un vaffa continuo, come se fosse ancora in piazza. Altrove la Nasa pensa a come andare su Marte, al Cern si cercano particelle subatomiche sempre più piccole, in medicina si sperimentano nuove cure contro il cancro, ma noi siamo fermi in una macchina del tempo dell'eterno presente, e al massimo ancora stiamo discutendo su chi si deve vaccinare e chi no. Le prossime elezioni? Ci si andrà più tardi possibile, e bene che vada si prospetta un'ammucchiata di sinistra e una di destra, per poi arrivare a un governo di centro per salvare capra e cavoli. O di larghe intese. O di responsabilità. Dove qualcuno, di sicuro, avrà sollevato l'annosa questione dell'ingovernabilità. Dove però qualcun altro avrà proposto una soluzione, magari presidenzialista, subito bollata come «deriva autoritaria» (la deriva autoritaria dell'uno è la governabilità dell'altro).

Non dissimile, alla fine dell'Ottocento, era l'Italia immaginata da uno scrittore come Federico De Roberto nel romanzo I viceré, fatta di continui trasformismi e illusioni perdute sul nascere e invincibile coazione a ripetere. Né più né meno che adesso. E però, sempre lì a invocare una cosa: il cambiamento! Probabilmente in Italia nulla cambia perché nulla può cambiare, siamo italiani per questo. Salvo poi dire: piove governo ladro. Non ci si può neppure consolare con la tv: Fabio Fazio è ancora lì e Che tempo che fa è sempre lo stesso (calma piatta), in alternativa i pacchi, oppure L'eredità, oppure, sai cosa? C'è posta per te. Per Sanremo già si preannunciano le solite polemiche: chi ci va, quanto costa, perché, il destino del servizio pubblico.

L'unica cosa a essere cambiata, ma non per merito nostro, sono i no global: oggi dovrebbero scendere in piazza a favore di Donald Trump.

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