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Crisi postdatata: è già aperta, ma resta congelata fino al 27

Caso Siri a orologeria: aperta un'inchiesta su una casa del sottosegretario Grillini scatenati. La crisi è iniziata, ma sarà congelata fino alle Europee

Crisi postdatata: è già aperta, ma resta congelata fino al 27

Nel vocabolario sia della Prima che della Seconda Repubblica ancora mancava la «crisi postdatata». Introdotta, a conferma dell'essere un vero «governo del cambiamento», dalla maggioranza gialloverde che sostiene l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Al di là delle rassicurazioni che arrivano sia da Luigi Di Maio che da Matteo Salvini (entrambi giurano che il governo «andrà avanti altri quattro anni»), è infatti del tutto evidente che la resa dei conti è solo rinviata al 27 maggio, quando le elezioni europee avranno certificato i nuovi equilibri politici del Paese. Solo allora si arriverà al redde rationem, considerato un'eventualità tanto probabile che il Quirinale sta già valutando la possibilità di elezioni a luglio o a settembre. Sul Colle, infatti, reputano «altamente improbabile» che, in caso di crisi, ci siano i numeri in Parlamento per un esecutivo tecnico e, seppure non sia mai accaduto che si andasse alle urne d'estate o a settembre (l'unico precedente è del 1913), sono ormai convinti che «le categorie usate fino ad oggi non siano più valide» e che ogni soluzione vada quindi considerata.

Lo scontro sul destino di Armando Siri - il sottosegretario della Lega indagato per corruzione - è infatti la cartina di tornasole di una guerra di posizione e di un'incomprensione umana tra le due leadership della maggioranza ormai difficilmente superabile. Perché Di Maio ha deciso di attaccare Salvini esattamente lì dove fa più male, mettendone in discussione la figura di uomo della legalità e dell'ordine su cui il capo della Lega ha costruito la sua ascesa. Non è un caso che il ministro dell'Interno non voglia aprire la crisi su Siri, perché è del tutto evidente che, da un punto di vista della comunicazione, il rischio di passare per quello che difende solo una poltrona è altissimo. Una posizione ancora più difficile dopo che ieri la procura di Milano ha aperto un'inchiesta sull'acquisto da parte di Siri di una palazzina a Bresso, nel Milanese, con un mutuo di 585mila euro acceso grazie a una banca di San Marino. Al momento non ci sono indagati e non c'è un'ipotesi di reato, ma la percezione di certe vicende giudiziarie e la loro effettiva rilevanza quasi mai vanno di pari passo. Di Maio lo sa bene. E pure gli abili comunicatori della Casaleggio Associati. Non a caso, ieri mattina è arrivata proprio da loro la velina che confermava per domani alle 10 il Consiglio dei ministri che si occuperà di dimettere Siri. Un modo per sventare possibili rinvii a data da destinarsi. Poi sono arrivati uno dopo l'altro gli affondi del M5s. Prima quello di Di Maio, che ha nuovamente chiesto di «rimuovere il sottosegretario che getta ombre sull'esecutivo». Mentre nel tardo pomeriggio le solite «fonti M5s» elogiano le parole di Salvini contro la mafia e ne approfittano per tirare nuovamente in mezzo Siri. «Siamo d'accordo con il ministro dell'Interno, dove c'è puzza di mafia - fanno sapere - la politica deve intervenire. Basta il sospetto, ecco perché chiediamo che Siri si faccia da parte. Prendiamo le parole di Salvini come un via libera...». Insomma, per il leader della Lega un vero e proprio accerchiamento da parte degli alleati di governo.

La palla, a questo punto, è proprio nelle sue mani. E l'intenzione, dicono dalla Lega, è quella di opporsi alle dimissioni lasciando che siano Conte e il M5s ad assumersene l'onere. Per quanto la possa ben presentare da un punto di vista della comunicazione, sarebbe comunque una sconfitta. Soprattutto se, come pare certo, quello che è politicamente un vero e proprio affronto non avrà come conseguenza una crisi di governo. Non è un caso che ieri alcuni leghisti abbiano auspicato che sia Sergio Mattarella a non controfirmare le eventuali dimissioni. Scenario assolutamente inverosimile: visto che la decisione è strettamente politica - in capo al premier e al ministro competente, quindi Danilo Toninelli - che se ne assumano ogni responsabilità.

Al Colle, ovviamente, hanno già studiato i precedenti - nel '93 Antonio Pappalardo, nel '98 Angelo Giorgianni e nel 2002 Vittorio Sgarbi - e non hanno dubbi sul fatto che la controfirma sia «un atto dovuto».

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