Cronache

Strage di via Palestro: assolto Tutino, il presunto basista

La Corte d'assise di Milano lo ha assolto per non aver commesso il fatto. Restano oscuri i contorni della strage di mafia che uccise cinque persone a Milano

Strage di via Palestro: assolto Tutino, il presunto basista

Non fu lui il basista della strage di via Palestro. Almeno secondo i giudici della Corte d'Assise di Milano che hanno assolto "per non aver commesso il fatto" Filippo Marcello Tutino, accusato di aver avuto un ruolo nell'attentato in cui persero la vita cinque persone.

Ha espresso grande soddisfazione il difensore, l'avvocato Flavio Sinatra: "Sono contento, è stata fatta giustizia. Non c'erano elementi per poterlo condannare, non bastano le parole di Spatuzza". Nel corso dell'arringa finale aveva sostenuto che"i morti di via Palestro furono un incidente di percorso", da parte di Cosa Nostra "l'intenzione era di danneggiare i monumenti, non, in quella fase dell'offensiva mafiosa, di attentare alla vita delle persone". Intenzione che era stata resa nota innanzitutto dallo stesso collaboratore Gaspare Spatuzza che, con le sue dichiarazioni, determinò l'arresto di Tutino per strage nel gennaio 2014.

Per questo, in caso di mancata assoluzione, il legale aveva chiesto la derubricazione dell'imputazione per strage in quella di morte o lesioni come conseguenza di un altro reato. Il ragionamento alla base della tesi difensiva è semplice: per configurare il reato di strage è necessario il dolo specifico, cioè l'intenzione di uccidere che, in questo caso, evidentemente mancava.

Di parere contrario il pubblico ministero Paolo Storari, che lo scorso 19 maggio aveva chiesto la condanna all'ergastolo per Tutino, e che, prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio per decidere, aveva replicato: "Mettendo dell'esplosivo a Milano a luglio cosa pensava che succedesse, Tutino? Poi non poteva sapere se sarebbero morte cinque o dieci persone, ma dire che non mettesse in conto di ammazzare qualcuno è un insulto all'intelligenza".

Tutino, in video collegamento dal carcere di Opera, non ha voluto rendere dichiarazioni spontanee.

L'attentato risale al 27 luglio del 1993, un anno dopo l'uccisione dell’eurodeputato della Democrazia cristiana Salvo Lima, di Giovanni Falcone e della moglie, di Paolo Borsellino con gli uomini delle scorte, di Ignazio Salvo, imprenditore siciliano mafioso e politico democristiano e all'indomani delle bombe al patrimonio artistico culturale italiano. L'esplosione alle 23:14 nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea (Pac), costò la vita ai vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, il vigile urbano Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, di origini marocchine. La stessa notte a Roma altre due esplosioni danneggiano le basiliche di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro.

A dare il via prima alle indagini e poi al processo erano state le dichiarazioni del pentito Spatuzza, che aveva puntato il dito contro Tutino, per questo motivo raggiunto, nel gennaio 2014, da un'ordinanza di custodia cautelare nel carcere di Opera dove era già detenuto per associazione mafiosa.

Nato a Caltanisetta, l'imputato ha precedenti per associazione mafiosa, e in materia di stupefacenti e di armi. Secondo quanto sostenuto da Spatuzza, Tutino avrebbe fornito supporto logistico al gruppo di persone incaricate di compiere la strage, avrebbe inoltre prelevato Spatuzza e Francesco Giuliano alla stazione di Milano e avrebbe partecipato al furto della Fiat Uno poi fatta esplodere, nonché al trasporto dell'esplosivo ed alla sua collocazione nell'auto.

Le parole del pentito avevano trovato vari riscontri. Le indagini, condotte tra il 2009 e il 2011 dalla squadra mobile di Milano e dal servizio centrale operativo su delega della Direzione distrettuale antimafia, avevano evidenziato l'esistenza di un legame stretto ed attuale tra Tutino e la famiglia mafiosa dei Graviano, che era stata incaricata dai vertici di "cosa nostra" di organizzare le stragi del 1993/1994.

Riscontri che, evidentemente, sono stati ritenuti insufficienti dai giudici

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