Cronache

Il leghista nigeriano: "Renzi non può fare a meno del business degli immigrati"

Il responsabile per l'immigrazione della Lega Nord furioso dopo il blitz a Milano in Porta Venezia. Ecco cosa gli hanno rivelato gli immigrati

Il leghista nigeriano: "Renzi non può fare a meno del business degli immigrati"

Siamo in zona Porta Venezia, a Milano, trasformata in un vero proprio campo profughi a cielo aperto. Non solo profughi, ma anche immigrati che hanno perso il lavoro e clandestini. Per capire meglio la situazione da vicino, Toni Iwobi, responsabile immigrazione per la Lega Nord, nigeriano, da poco minacciato di morte sul suo profilo Facebook, ha organizzato un blitz a sorpresa. Uomo di colore in mezzo a uomini di colore: eritrei, siriani ma anche persone che provengono da Kenia, Niger, Nigeria, Ghana. Ci accoglie una distesa di donne, uomini, ragazzi e bambini, una vera e propria "coperta" umana. Tutti all'ombra, intenti a divorare del pane portato da qualche associazione. Il primo ragazzo che incontriamo arriva dal Kenia, è in Italia dal 1990, ha sempre lavorato, poi quattro mesi fa, causa il fallimento della cooperativa per cui lavorava, è rimasto a piedi. Il secondo ragazzo che incrociamo è originario del Niger, ci racconta qualcosa di incredibile. Lui è arrivato in Italia con la barca ma come "free", gratuitamente, perché è stato preso con la forza per strada dai militari libici e costretto a salire a bordo.

Insospettiti dal nostro telefonino ci domandano se stiamo facendo un video. Hanno paura. Toni li rassicura e fa breccia con una frase: "Sono nero come te, non ti tenderei mai una trappola, ti fidi di me?". Loro si convincono della sua buona fede e ci raccontano come stanno realmente le cose in Porta Venezia. I gruppi di persone che si accampano cambiano tutti i giorni. Ci sono tanti bambini e tanti ragazzi minorenni. Incontriamo un gruppo di giovanissimi dove tutti si dichiarano maggiorenni, eppure vengono traditi dai loro visi così giovani. Sono seduti e divorano panini. Solo pane si intende. Anche se, ci dicono "qualcuno non ha mangiato". Accanto a loro ci sono grossi sacchi pieni di pane e poco lontano dell'acqua. Sono eritrei, è difficile comunicare con loro, mentalità chiusa, carattere diffidente. Eppure di fronte a Toni si mostrano disponibili al dialogo. Non hanno intenzione di fermarsi a Milano, sono diretti in Olanda, Francia, nord Europa, ma non è dato sapere quando e come.

Iwobi non risparmia critiche al governo italiano che "sta creando - dice - un mostro sociale futuro, dove l'immigrazione è un business di cui i politici, l'Europa e tutti gli enti internazionali, non possono fare a meno. Propone quindi "un blocco immediato perché gli esseri umani non possono essere trattati in questo modo. Questo è un tunnel della morte". E se li chiedi cosa direbbe il ministro Angelino Alfano di fronte a questo scenario milanese, risponde: "Niente perchè a lui non interessa, queste sono persone abbandonate da tutti, una volta che vengono sfruttate per interesse, non servono più!".

Toni Iwobi sbotta di fronte a tanto squallore umano: "Questa non è immigrazione, questa è invasione". Fa l'esempio di un ragazzo siriano con cui è in contatto e che, da tempo, sta cercando di entrare in Italia regolarmente per studiare. Per ben tre volte gli hanno negato il visto. E si scaglia contro la politica che lascia entrare i clandestini che si spacciano per rifugiati politici. Lui parla addirittura di "invasione programmata", una definizione che lascia intendere molto. Attacca il governo italiano, l'Europa, l'Onu, le associazioni di aiuto umanitario che, proprio in questo momento si domanda "dove sono?".
Scattate le 12:00 in punto molte persone si avviano a mangiare all'Opera San Francesco di viale Piave. Non tutti però. Le persone con cui abbiamo parlato, a cui abbiamo stretto mani, rimangono escluse. Infatti, un volontario della Cooperativa Arca che si occupa degli aiuti verso i profughi, ci informa che hanno accesso solo quelli in possesso del ticket, o meglio di una tesserina con tanto di foto e nome. Molti infatti, essendo sprovvisti di passaporto e documenti, rimangono esclusi.

E il business continua.

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