Economia

Generali, gli ex vertici affondati dai siluri partiti dai salotti buoni

Più che un'operazione di trasparenza, un regolamento di conti. Ma i soci non potevano non sapere delle azioni di Perissinotto e Agrusti

Generali, gli ex vertici affondati dai siluri partiti dai salotti buoni

Questa storia della causa che le Generali fanno ai suoi passati amministratori non convince. Giovanni Perissinotto e Raffaelle Agrusti un paio di giorni fa si sono beccati un'inconsueta citazione da parte del cda del Leone: invece della tradizionale azione di responsabilità, un'inedita causa giuslavoristica. Da Trieste dicono che il motivo è semplice: con gli ex pretori del lavoro si fa prima. La matassa legale è in mano allo Studio Erede: roba buona. Insomma, uno che di operazioni con parti correlate se ne intende. Ma questo è un altro discorso, quel che è certo è che i professionisti che sono stati messi alle calcagna dei due ex boss sono tecnicamente tra i più bravi in Italia.
Ritorniamo sul seminato. Alzi la mano chi avrebbe (tra i soci delle Generali) voluto portare il bordello giuridico in assemblea. Probabilmente in pochi. Ecco perché una causa di lavoro, isolata a una decisione del consiglio, è molto meglio di un'azione di responsabilità tradizionale. Così si circoscrive il danno. Perissinotto e Agrusti avrebbero scelto di fare investimenti opinabili. Vabbè, ci sta.
Ma un azionista, neanche troppo sveglio, se si fosse trovato in un'assemblea per un'ipotetica azione di responsabilità avrebbe potuto alzare la mano e fare il seguente discorso: «Cari nuovi amministratori delle Generali, vi ringraziamo molto dell'ottima performance che avete fatto fare al nostro titolino. State dando una bella rinfrescata al Leone. E siamo con voi nel cercare di capire se nella passata amministrazione ci sono state delle operazioni opache. Ma perché, cari nuovi amministratori, se proprio volevate fare pulizia, non indagate sul cinghialone e cioè sulla partecipazione Telecom? Ci abbiamo smenato qualche centinaia di milioni di euro. Per di più abbiamo insistito e abbiamo sbagliato per due volte. E scusate, se volete aprire bene i cassetti, già che ci siamo ci spiegate bene l'operazione Toro? Insomma, ci voleva un genio per capire che l'operazione prima Telecom e poi Telco non era esattamente nell'interesse degli azionisti, ma del sistema. Come si diceva allora. Ah, poi - continua il giovane sprovveduto azionista - ci dite quanto hanno reso i 50 milioni di euro recentemente investiti nei fondi di Davide Serra? Piccolo investimento per Generali, ma importante per il guru renziano con base a Londra. Pare che vi abbiano dato soddisfazione, e dunque datene conto quasi fosse un'operazione con parti correlate, così magari tra dieci anni sapremo difendervi da una possibile causa di lavoro da parte della prossima amministrazione».
Chi legge questa zuppa a questo punto può insospettirsi. Ma che parentela ha il cuoco con Perissinotto&Agrusti per difenderli contro una buona amministrazione come quella che si sta rivelando l'attuale? E che in fondo fa ciò che spesso abbiamo chiesto, un po' di pulizia nel mondo opaco della finanza. Intanto, conviene subito dire che la coppia triestina è forse una delle poche che il cuoco (grave negligenza) non hai mai conosciuto. E che per di più ha spesso criticato.
Gli assaggiatori di questa zuppa sanno però bene che in massima antipatia si tiene l'ipocrisia. E allora ci chiediamo: ma davvero ora ci raccontate che Perissinotto è stato 33 anni in Generali e l'ha guidata per 11 facendo sette operazioni opache all'insaputa dei suoi azionisti, cioè gli stessi che oggi votano un'azione di responsabilità? E quando Perissinotto dice (come ha fatto ieri sul Piccolo) che la nuova dirigenza non ha la bacchetta magica e, dunque, i successi borsistici di oggi in parte dipendono dalle sue attività di ieri, qualche ragione sembra averla. Provate a guidare il Monte dei Paschi e vedete se in pochi mesi gli fate fare un balzo degli utili. E infine, sempre citando Perissinotto: ve la prendete con i miei dieci milioni di liquidazione dopo trent'anni di lavoro e tacete sui 16 dell'ex presidente senza deleghe Cesare Geronzi che è stato a Trieste per una decina di mesi.
Per concludere, ci sembra che più che un'operazione di trasparenza, questa causa di lavoro sia una coda avvelenata di un regolamento dei conti di quello che una volta era il salottino buono della finanza. Fatela pure, ma non spacciatela altrimenti.

Se no saremmo costretti a ripetere con il marchese del Grillo la lunga litania di nomi di ex banchieri e amministratori delegati che si godono le loro stock option e ricche liquidazioni, mentre le loro aziende e banche stanno languendo in Borsa.

Commenti