Controcultura

Flaiano Marziale, marziano, malinconico

Una biografia del grande scrittore, l'ultimo dei poeti satirici latini, un "fuori canone" e inquieto

Flaiano Marziale, marziano, malinconico

Aggettivi qualificativi di Ennio Flaiano. Marginale (lo è stato a lungo nel canone letterario del nostro '900). Frammentario (l'opera è fatta di pensieri, racconti, aforismi, epigrammi, parentesi, divagazioni... il sontuoso reporter della quotidianità minima). Notturno (il diario, le notti ai caffè, i vitelloni a zonzo di notte...). Solitario (il satiro, la realtà osservata con lo sguardo di uno che è «di fuori», da solo... la solitudine come condizione morale, «la chiave dell'esistenza»). Romano (un Flaiano a Roma, Ennius Flaianus, il discendente dei grandi poeti satirici della latinità...). Malinconico (ironia amara, disillusione, disincanto e una delicatezza d'animo ferita...). E poi: alieno.

Si intitola Ennio l'alieno (Mondadori), sottotitolo: «I giorni di Flaiano», ed è il libro fra biografia e atto d'amore che Renato Minore e Francesca Pansa dedicano, a quattro mani e all'unisono, al più brillante, cinico, citato, timido, sarcastico, affabulatore della nostra letteratura recente.

Flaiano: il maggiore dei minori.

Si parte da qui: Ennio Flaiano è il minore dei suoi fratelli, ultimo figlio della seconda moglie del padre, e nono complessivo, infanzia piuttosto infelice, trascurato dai genitori, in una famiglia dove è un peso, non voluto, esule a 12 anni: i fratelli lo guardano di tanto in tanto per accertarsi che purtroppo esiste ancora. «Sono il figlio minore. Forse nessuno mi aspettava più, ormai. Sono arrivato, come si dice, a tavola sparecchiata, alla frutta». La città è Pescara, la casa è sull'altro lato della via rispetto a quella di D'Annunzio. Poi, Roma: il suo mondo. Lì arriva, lì vive, lì ritorna dopo le scuole ufficiali al Nord e la guerra d'Etiopia: con il romanzo Tempo di uccidere, commissionatogli da Leo Longanesi, è il primo vincitore del neonato Premio Strega, nel 1947. Poi il giornalismo: Flaiano, che è il vero artigiano del Mondo di Pannunzio, collabora con decine di quotidiani e riviste: Omnibus, Oggi, L'Italia letteraria, Corriere della sera, L'Europeo... E del resto l'articolo, il ritratto, il bozzetto sono la sua misura. E il cinema: fra soggetti e sceneggiature lavora in 98 film. Domanda: senza Flaiano, ci sarebbe stata La dolce vita? Forse. Ma non così.

Scherno e grande schermo.

Baffi, sigaro, cappotto e caffè, con la sua opera frammentaria, notturna e solitaria Ennio Flaiano è stato il miglior antropologo dell'Itaglia, con la «g», degli anni Cinquanta e Sessanta, un po' moderna, un po' antica, cafona, cattolica, comunista, aristocratica, volgare, esemplare. Flaiano la amava, e la mal sopportava. Però si sentiva straniero in un Paese con le pezze al culo. Ed ecco la satira contro ogni stupidità. «Tutto viene preso sul serio in questo benedetto Paese eccetto le cose serie».

Sotto la maschera dell'umorista, Renato Minore e Francesca Pansa - fra i pochi a potere davvero chiamare Ennio uno scrittore che ha avuto più amici da morto che da vivo - ritrovano e ci consegnano un personaggio difficilissimo da imbrigliare in una logica sequenza di fatti, proprio perché è lo stesso Flaiano il primo a mischiare carte e pagine. Dietro il sipario, ecco i successi pubblici e le inquietudini private, le amicizie (ambigua quella con Federico Fellini, vera quella con Nicola Chiaromonte), passioni, delusioni, grandissimi dolori (da leggere le pagine finali su Rosetta, sua moglie, e la figlia Lè-Lè, colpita da una gravissima malattia a otto mesi e vissuta cinquant'anni senza mai parlare né camminare).

Luoghi comuni da sfatare: che Flaiano fosse pigro e lavorasse a singhiozzo. In realtà scrisse, pensò, lesse e parlò moltissimo.

Confessioni: la migliore è sul cinema. «Preferisco fare il filmaccio qualsiasi invece del film d'arte pretenzioso e sbagliato. Il filmaccio non intacca la mia coscienza, lo si fa per vivere, ma il film d'arte deve rispondere esattamente al concetto che ho dell'arte e della verità» (lettera a Luciano Emmer, 1954).

Timori: che lo prendessero per un umorista. «Spiritoso è parola che può rovinare una reputazione. Per esempio, Moravia dice che Gadda (che se lo mangia dieci volte) è un grande umorista, per escluderlo, per non elogiarlo» (lettera a Cesare Zavattini, 1956).

Risposta: quella che diede in una lettera mai spedita a Giorgio Bocca, che lo aveva accusato di essere un tipo disimpegnato da caffè. Ne sono orgoglioso - disse - perché dopo sono venuti quelli da snack bar, cioè quelli protetti da chiese e partiti, gente con cui lui sente di non avere nulla a che spartire.

Nemici: nessuno, perché Flaiano è sorridente - «celioso» lo definiscono gli autori - genuino. Conversatore (e conservatore) sottile e polemico cordiale. Amici: veri, pochi. Mino Maccari, Andrea Emo, Totò, Tonino Guerra.

Scrittori amati: Balzac, Swift, Manzoni, Kafka, Laforgue, Renard, Valéry, Casanova, Leopardi, Boccaccio, il Machiavelli delle commedie, e prima ancora Giovenale, Persio. E Marziale!

Progetti non realizzati: tanti. Tra cui trarre un film da Tempo di uccidere (lo fece Giuliano Montaldo nel 1989, protagonista Nicolas Cage, senza tener in alcun conto il trattamento che aveva lasciato Flaiano); e soprattutto girare lui stesso un film, il suo film americano: il soggetto s'intitolava About a Woman ma il produttore Carlo Ponti non si fidava di lui e lui non voleva imposizioni, così tutto naufragò. Dal soggetto nascerà il romanzo breve Melampus, da cui a sua volta Marco Ferreri trarrà La cagna, nel 1972, che però Flaiano non volle riconoscere. E così ci siamo persi il Flaiano regista... In realtà ci siamo persi anche un pezzo del Flaiano intervistatore: quando era in Canada per preparare Oceano Canada, un documentario Rai per la regia di Andrea Andermann realizzato nel 1971 e trasmesso nel '73, lo scrittore aveva fissato un incontro con Marshall McLuhan, il famoso teorico della comunicazione. L'intervista saltò perché McLuhan chiedeva troppi soldi. Ed è un peccato. Chissà cosa gli avrebbe chiesto Flaiano, il quale a proposito del celebre slogan «Il medium è il messaggio» una volta commentò: «Bene, significa che quando mi consegneranno una lettera, leggerò il postino».

Epitaffi: tanti, ma soprattutto un auto epitaffio. Quello dettato per un'immaginaria enciclopedia «del 2050» nel 1972, pochi mesi prima dell'infarto fatale: «Giornalista e sceneggiatore, autore anche di un romanzo, Tempo di morire (concediamo a quest'ipotetica enciclopedia una citazione inesatta). Scrittore minore satirico nell'Italia del Benessere».

E tanto basta.

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