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Migranti dissuasi e Ong ai margini. E i conti da fare con la burocrazia Ue

Spiegano a Palazzo Chigi: "Aggiungiamo una regione all'Italia passando dalla Puglia all'Albania". Un freno alle partenze con la prospettiva di sbarcare solo a Shengjin

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Rishi Sunak l'ha fatto con il Rwanda, Giorgia Meloni è pronta a farlo con l'Albania. Ovvero con un paese europeo. Il senso della rivoluzione meloniana in tema di migranti e rimpatri annunciata dalla firma dell'intesa con Tirana è tutto qua. «Abbiamo aggiunto all'Italia una regione passando dalla Puglia all'Albania» - spiega a Il Giornale un fonte di Palazzo Chigi. Quell'aggiunta diventa un fondamentale elemento di deterrenza nella lotta per il blocco all'origine dei flussi migratori. «Il migrante economico pronto a pagare per imbarcarsi dalla Tunisia - spiega la stessa fonte - non avrà più la prospettiva di raggiungere l'Italia, ma bensì di sbarcare a Shengjin, a nord di Durazzo. E questo sicuramente lo costringerà a riflettere molto».

Ovviamente Giorgia Meloni sa bene che il difficile inizia ora. L'Europa socialista, l'opposizione nostrana, le organizzazioni umanitarie e i media schierati per l'accoglienza senza limiti faranno di tutto per dipingere l'accordo come un operazione inconciliabile con i diritti umani. Su questo fronte il governo ha già messo alcuni paletti. Prima di arrivare alla firma l'intesa è stata discussa sia con la presidente della Commissione Europea von der Leyen, sia con la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson, sia con le altre autorità Ue competenti per la questione migranti. E «in tutti questi colloqui - spiega la nostra fonte - non sono stati frapposti ostacoli all'iniziativa».

Ovviamente la cautela è d'obbligo. Il Protocollo sulla Tunisia, firmato dalla stessa von der Leyen a luglio, insegna che la burocrazia europea è in grado di bloccare le iniziative condivise, approvate, e persino firmate, dai vertici della Commissione. In questo caso l'Italia ha però un vantaggio. Sia le procedure d'identificazione, controllo e prima accoglienza nel porto di Shengjin, sia quelle per il rimpatrio nell'area di Gjader verranno realizzate da personale italiano e sotto il controllo delle nostre autorità. «L'Albania metterà a disposizione solo il territorio - spiega la fonte de Il Giornale - mentre noi siamo già pronti a prevedere la presenza dell'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e dell'Unhcr (Alto Commissariato per i rifugiati dell'Onu). Inoltre saremmo ben lieti se la Croce Rossa fosse disponibile a prendere la gestione dei due centri come già avviene a Lampedusa». Ovviamente

La rivoluzione «albanese» disegnata da Giorgia Meloni avrà ripercussioni anche sul fronte dei soccorsi ai migranti e dei porti di sbarco. All'avvio dell'intesa le navi della Guardia Costiera impiegate per i salvataggi e la raccolta in mare non punteranno più sui porti italiani, ma su quello albanese di Shengjin. E questo almeno fino al raggiungimento della capienza massima che, stando al protocollo, prevede la presenza di tremila persone nei due centri e un tetto massimo annuale di 39mila posti.

Per quanto riguarda le navi delle Ong il governo è orientato a non imporre loro la rotta sull'Albania. Anche perché l'azione deterrente dell'intesa ridurrà le partenze e allargherà gli interventi della Guardia Costiera rendendo, di conseguenza, assai marginale l'attività delle Ong. Ovviamente vien da chiedersi cosa riceverà in cambio Tirana. La risposta è tutt'altro che scontata. Fatte salve le spese per la costruzione delle due strutture, chiaramente a carico del nostro governo, l'intesa non prevede alcuna contropartita economica per il governo di Edi Rama.

Ma è chiaro che il vero compenso, di cui si è fatta garante Giorgia Meloni, sarà l'entrata in Europa dell'Albania in tempi assai brevi.

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